Autore: Redazione
08/04/2024

Oltre la superficie, il potere dell’idea e del racconto per essere una media company: le strategie di Bea

L’agenzia, che festeggia i suoi primi tre anni, aiuta il mondo delle imprese a scovare la propria essenza e a raccontarsi. Le parole di Salvatore Ippolito, co-founder e CEO, e Corrado Paolucci, Chief Operating Officer e partner

Oltre la superficie, il potere dell’idea e del racconto per essere  una media company: le strategie di Bea

Salvatore Ippolito e Corrado Paolucci

Nei giorni in cui il Parlamento Europeo ha votato l’approvazione dell’AI Act, con il governo italiano che ha annunciato nuovi finanziamenti e provvedimenti a sostegno dell’AI, ci chiediamo come si stiano muovendo le imprese e come possa l’AI supportarle nella creazione di una narrazione efficace e autentica del proprio brand? Le soluzioni potrebbero arrivare da Bea, media company specializzata nella narrazione strategica d’impresa (https://www.beamediacompany.com/) L’agenzia, che proprio in questi giorni spegne tre candeline, ha celebrato la crescita della sua squadra e del fatturato, che dopo i circa due milioni di euro del 2023 punta a superare quella soglia nel 2024. Parliamo di Bea con Salvatore Ippolito, co-founder e CEO, e Corrado Paolucci, COO e partner (ospiti di DailyOnAir - The Sound Of Adv).

Come nasce BEA, con quali obiettivi e come si è evoluta nel corso dei suoi primi tre anni?

Salvatore Ippolito: «Nasce nel cuore della pandemia, con pensieri che già si erano manifestati nel 2020, e mentre il mondo si chiudeva per proteggersi noi decidevamo di aprire una nuova realtà, una sfida a noi stessi ma anche alle aziende. Bea vuole dire “Be a media company”, quindi un invito alle aziende a muoversi come vere e proprie media company, a individuare le proprie storie, i cosiddetti tesori nascosti, per poi raccontarli con tutti i crismi. La Rete ha proposto un salto evoluzionistico che non molti hanno saputo catturare, noi vogliamo aiutare le aziende a raccontarsi. Una spinta è arrivata anche dall’Edelman Trust Barometer, in cui si parla di etica e competenza, un incrocio magico che vede le aziende come uniche e vere protagoniste, a patto che sappiano raccontarsi e prendere posizione, tra ambito sociale e quello societario».

Il settore della comunicazione, tra branding, storytelling, innovazione 3.0 e conseguenti adeguamenti normativi sembra quasi muoversi in costante slalom: è la vera sfida, anche necessaria, oppure ci si sente in qualche modo limitati?

Salvatore Ippolito: «Né l’uno e nell’altro. Prendiamo come esempio lo sport, visto che parliamo di slalom normativi e legislativi: la via migliore da percorrere è quella dritta, in altri termini la strada giusta è rappresentata dall’idea creativa che ci guida, l’attivation concept, la storia chiave attraverso cui imperniare il racconto aziendale, facendo leva su un metodo giornalistico e quindi partendo dall’ascolto, sia esso interno alla struttura, sia legato alla percezione esterna che si ha di quella realtà; il nostro compito è catturare storie attinenti, vere. Tra i vari progetti che spiegano il nostro operato abbiamo raccontato la M4 di Milano, dietro le quinte o dentro le righe, le storie dei quartieri interessati, il mondo sottomarino dai cavi del mediterraneo di Terna, il passaggio da cacciatori a costruttori di Key2people, da hunters a makers a builders; la bellezza che salverà il mondo che deve essere sostenibile come viene descritta all’interno di un magazine promosso da Intesa, il brand Teddy e il concetto di positivity, perché l’abbigliamento non è un qualcosa di esterno ma appartiene ai nostri corpi. Tutte storie che vogliono aiutare le aziende a travalicare i confini ristretti del loro settore, per spiegare come operino e come stiano contribuendo al progresso sociale. L’elemento chiave è quindi lo stimolo creativo».

Ci sono settori con cui oggi riuscite in maniera più agile a creare una narrazione valida e altri che invece soffrono di più?

Corrado Paolucci: «Meglio parlare di maturità aziendale: ci sono sempre più interlocutori che si rendono conto che il raccontarsi rappresenta un asset strategico, si nota una crescente consapevolezza che porta a lavorare per percorsi non tanto per campagne».

Quai sono i punti focali sui quali poggiare la costruzione di una strategia di comunicazione?

Corrado Paolucci: «Il tutto può essere sintetizzato in tre punti: considerarsi come una community di persone, una squadra, un network di talenti; il concetto di lavorare in partnership; essere pionieri non tanto nel campo delle invenzioni ma in quello delle selezioni del giusto mix, tra innovazione, intelligenza artificiale e tecnologie inedite che servono per costruire una ricetta nuova».

A proposito, come state inglobando nel vostro lavoro le innovazioni web3.0?

Corrado Paolucci: «Il web3.0 e l’AI devono essere considerati come copiloti, un supporto, una garanzia, così da poter affidare parti routinarie a un soggetto affidabile, che ci permetta di approfondire la parte ad alto valore aggiunto. La tecnologia ci aiuta a valutare più scenari, ma l’aereo dobbiamo continuare a guidarlo noi».

Cosa offre BEA oggi e cosa si prefigge di costruire da qui al prossimo anno?

Salvatore Ippolito: «Offriamo primo di tutto molto ascolto, affinché le aziende possano guardarsi dentro, possano specchiarsi; dopo questa prima fase ecco arrivare l’idea e la sua declinazione che si realizza attraverso la costruzione di hub editoriali, di magazine digitali, di contenuti che si possono declinare su altri ambiti, newletter piattaforme personali o terze, in modo da sollecitare il concetto della permanenza, dell’approfondimento, di un percorso che vada oltre la superficie, per attuare il potere della storia, dell’aggregazione e del coinvolgimento».