Autore: Redazione
28/09/2016

In Italia l’Ad blocking vale il 13% e solo il 7,6% per gli smartphone

A rivelarlo è “Lo stato dell’arte dell’Ad blocking in Italia”, una ricerca promossa da sei realtà (Assocom, FCP-Assointernet, Fedoweb, GroupM, Iab Italia, Upa) e commissionata a Comscore e Human Highway per analizzare il fenomeno

In Italia l’Ad blocking vale il 13% e solo il 7,6% per gli smartphone

L’Ad blocking è un fenomeno presente anche in Italia, ma nel nostro Paese l’impatto sul mercato pubblicitario è attualmente contenuto: l’incidenza per l’utenza pc è del 13% ed è ancora più limitata su smartphone, dove si attesta al 7,6%. E’ questo il quadro delineato dai primi risultati, pubblicati ieri, della ricerca continuativa “Lo stato dell’arte dell’Ad blocking in Italia” promossa da Assocom, FCP-Assointernet, Fedoweb, GroupM, Iab Italia, Upa e commissionata a Comscore e Human Highway. I risultati si riferiscono ai dati rilevati lo scorso maggio, ma fanno sapere le associazioni che la ricerca proseguirà nei prossimi mesi ed è prevista una nuova pubblicazione di dati per fine ottobre/inizio novembre, in modo da poter tracciare un trend completo del fenomeno dell’Ad blocking in Italia. “Il fenomeno dell’Ad blocking è presente in Italia e conosciuto dai consumatori, ma l’impatto per il mercato pubblicitario italiano è attualmente contenuto, attestandosi poco sopra il 10% dei volumi di consumo di internet sul pc. L’impatto è ancora più limitato su smartphone, dove l’adozione degli Ad blocker è iniziata più tardi”, hanno fatto sapere le associazioni che hanno promosso la ricerca.  

Numeri chiave dell’Ad blocking

  Il 21,9% degli utenti web italiani dichiara di conoscere e utilizzare, in qualche occasione, sistemi di Ad blocking ma l’uso, per la maggior parte degli utenti, è tattico: si attiva/ disattiva l’ad blocker e/o si inseriscono i siti in whitelist secondo opportunità e secondo i diversi device utilizzati. Ciò che ne deriva, a livello mensile, è che il 13% degli utenti pc utilizza un Ad blocker su almeno uno dei propri browser. Questa è la vera incidenza del fenomeno dell’Ad blocking in Italia: utilizzato dal 13% degli utenti, riguarda il 15% delle pagine viste, dato che invece nella rilevazione diretta FCP-Assointernet, sui siti dei propri associati, evidenzia un’incidenza media dell’11% sui volumi di pagine. Per quanto riguarda invece il comparto mobile, questo fenomeno a livello di smartphone è limitato al 7,6% degli utenti.
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Identikit di un Ad blocker

  Il profilo degli utenti di Ad blocker è prevalentemente composto da uomini, giovani, studenti, persone con titolo di studio elevato e abitanti nei grandi centri. Oltre agli utilizzatori attuali, il 12% degli intervistati ha dichiarato che potrebbe installare un Ad blocker in futuro.  

Perché lo si usa?

  La ricerca permette di capire anche quali sono le motivazioni che spingono gli utenti verso gli Ad blocker.
  • L’impatto della pubblicità sulla user experience di navigazione (formati invasivi, affollamento elevato, rallentamento nel caricamento dei contenuti);
  • aspetti relativi al planning pubblicitario (eccessiva frequenza degli annunci, pubblicità targettizzate poco o male);
  • motivazioni legate alla sicurezza/privacy;
  • nel caso dello smartphone sono prevalenti gli aspetti più marcatamente funzionali: consumo del traffico dati e della batteria da parte dell’adv.
 

Come viene utilizzato?

  Installare un Ad blocker non significa utilizzarlo sempre. Spesso gli utenti installano gli Ad blocker solo su alcuni device/browser e ben il 63% degli utenti di Ad blocker ne fa un uso tattico, utilizzando “whitelist” per permettere l’erogazione di adv da parte di alcuni siti o mettendo in pausa l’ad blocker per accedere ad alcuni siti o contenuti. E ben l’81% degli utilizzatori di Ad blocker si dichiara disposto a rivederne il proprio utilizzo se un sito eliminasse i formati pubblicitari più invasivi.  

Il compromesso

Il 55% degli utilizzatori di Ad blocker non è a conoscenza del patto pubblicitario, ovvero del ruolo dell’advertising nel finanziamento dei produttori di contenuti fruiti dagli utenti online, spesso gratuitamente. Portati a riflettere sul tema - si legge nella nota emessa ieri da Iab Italia - gli intervistati mostrano una maggiore apertura verso un modello di finanziamento legato a un’advertising meno invasiva e più in linea con i propri interessi, piuttosto che al modello di business più radicale dei servizi a pagamento.
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Conclusioni

Nonostante si possa parlare ancora di un impatto limitato del fenomeno in Italia, gli enti promotori dell’analisi segnalano prospetticamente alcune problematiche:
  • l’incidenza specifica dell’Ad blocking su alcuni target difficili da raggiungere, che potrebbe parzialmente limitare l’efficacia delle pianificazioni online delle aziende interessate a tali target;
  • lo spazio di crescita del fenomeno se non verranno offerte risposte al disagio degli utenti e il rischio di un “contagio” dell’ Ad blocking dal PC allo smartphone;
  • la percezione critica da parte degli utenti di alcuni formati video, un comparto che sta trainando lo sviluppo del mercato dell’online advertising.
In questo senso l’intera industry pubblicitaria - si legge ancora nella nota - è chiamata da un lato a uno sforzo di miglioramento di sistema, per darsi regole sostenibili e condivise dall’altro a dare risposte concrete ai segnali di disagio mostrati dagli utenti. Da non sottovalutare sarà il ruolo delle associazioni nel promuovere il valore dell’advertising e il patto pubblicitario online, che viene riconosciuto da meno della metà degli utilizzatori di Ad blocker.  

Il programmatic nel mondo

Esaminando più di 900 investitori in 29 mercati, lo studio condotto da Iab Europe e pubblicato in estate ha rilevato che solo il 13% degli inserzionisti, l’8% degli editori, e il 7% delle agenzie media oggi non sta usando tecnologia programmatica. Per coloro che invece investono in programmatic, la riduzione degli sprechi nei media (56% degli inserzionisti; 72% delle agenzie) e una maggiore efficienza di costi e negoziazione (47% degli inserzionisti; 48% delle agenzie, 68% degli editori) sono le conseguenze più rilevanti dell’uso di questa tecnologia. “Programmatic non è più il futuro, è qui. La continua crescita della fiducia mostrata in questa ricerca ne è una testimonianza, benché, nonostante sia lato buy che sell siano stati fatti grandi passi nell’adozione del programmatic, rimangono ancora alcune barriere”, affermava Graham Wylie, presidente del Programmatic Trading Committee di IAB Europe.