Google, Prabhakar Raghavan: «In un mondo guidato dalla privacy, la sfida è fare di più con meno dati»
Il Senior Vice President Ads & Commerce della company, durante il suo intervento all’Advertising Week londinese, ha raccontato dell’importanza centrale della fiducia a tutti i livelli. I dati di prima parte sono senz’altro elementi vitali, così come la tutela dei singoli utenti, degli editori e degli investitori. Solo con la trasparenza si può mantenere il circolo virtuoso

Prabhakar Raghavan, Senior Vice President Ads & Commerce di Google
Se tornassimo indietro a trent’anni fa, la parola “connessione” avrebbe fatto alzare le sopracciglia di tantissime persone, in tutto il mondo. Oggi il 50% della popolazione terrestre è online. Telefonare è diventata un’attività di secondo piano tra le innumerevoli funzioni di questi strumenti - smartphone e computer -, sempre più necessari non solo per il business, ma anche nella quotidianità. Una spinta a questa pervasività l’ha certamente data Google, che al motore di ricerca - abilitatore del reperimento real-time di qualsiasi informazione - ha aggiunto prima le email, poi l’advertising, successivamente raffinati sistemi operativi mobile e tutto un universo di tecnologia digitale.
La luce nelle tenebre di questo universo nuovo - anche per i legislatori - è stato il monito su cui l’azienda è stata costruita: “Don’t be evil”. Su questa frase mettono le radici le iniziative dirette agli editori, alle piccole e medie aziende, ai creators e, praticamente, a chiunque abbia intenzione di investire risorse o talento per fare business. «Con lo smartphone, chiunque può diventare una micro-multinazionale», ha dichiarato il President EMEA Business and Operations, Matt Brittin, intervenendo sul palco dell’Advertising Week.
La privacy unisce il segmento
Google è il kraken del mare digitale, un’entità enorme con tentacoli che si dispiegano in tutte le direzioni. La sua estensione è tale che bisogna impiegare grandi forze per monitorare le attività degli utenti, perché quando uno strumento è aperto all’utilizzo da parte di chiunque, succede che qualcuno intenda utilizzarlo per fini illegali. La company non solo si sta impegnando a farlo, ma sta andando oltre, imponendo vincoli anche ai propri business in uno slancio verso un nuovo livello di trasparenza. Nell’intervento londinese, “Advertising that works in a privacy first world”, Prabhakar Raghavan, Senior Vice President Ads & Commerce di Google, ha acceso un riflettore sugli sforzi della società in relazione agli utenti, ai publisher e agli advertiser.
Alla base della piramide ci sono gli utenti: sono loro il vero motore del business. A loro sono dedicati i prodotti; sono loro a entrare nei siti; e sono sempre loro l’oggetto delle ads. Ma perché riescano a fare proprio qualsiasi strumento della company è necessario instaurare un rapporto di fiducia. «Miliardi di utenti vengono sulle nostre property per salvare foto e dati. Ma questi file o informazioni sensibili restano separati da tutto ciò che riguarda l’adv: non vendiamo le informazioni personali di nessuno, non le utilizziamo per personalizzare gli annunci e non prendiamo l’impronta digitale per ads ritagliate sull’utente», fa chiarezza Raghavan. Non solo. «Per quanto riguarda la pubblicità, la pagina Google Account, che serve per gestire la raccolta e l’utilizzo ai fini di marketing dei dati di ogni utente, è stata visitata 2,6 miliardi di volte nel 2018, ma in pochissimi hanno interrotto lo sharing delle informazioni per l’adv». È stata sottolineata, poi, l’importanza del dato di prima parte, definito «vitale in un mondo di data privacy».
Gli editori
Il rapporto con gli editori è un elemento chiave per il motore di ricerca, ma anche per la proposta di un internet aperto a tutti. Per questo motivo, le iniziative in favore delle testate e del giornalismo di qualità sono state davvero molte negli ultimi anni. L’anno scorso, ad esempio, «abbiamo creato la Google News Initiative che ha sostenuto gli editori con 140 milioni di dollari e arriverà a 300 nei prossimi tre anni; poi, le AMP, che permettono un caricamento pagina su mobile quattro volte più veloce, con un incremento del 25% del CTR e una crescita nei clic alle ads del 50%.
Inoltre, finora, il motore di ricerca ha restituito agli editori circa 14 miliardi di dollari». Gli sforzi non si sono placati, e anche quest’anno sarà rafforzata la spinta al Publisher Program e verrà lanciato un insight engine all’interno della piattaforma Google Ads, utile per dare suggerimenti agli editori sull’ottimizzazione dei contenuti e a far salire le revenue del 22%, solo nella scorsa settimana, negli Usa», aggiunge Raghavan. Il prossimo arrivo della policy sul copyright non è temuto, anzi: «In linea generale siamo d’accordo. Ma bisogna fare grande attenzione ai dettagli, che potrebbero produrre una situazione contraria agli obiettivi del decreto».
Gli advertiser
La protezione dell’ecosistema a garanzia di contesti sicuri è una priorità per Google, che ha tutta l’intenzione di mantenere un forte rapporto di fiducia anche con gli advertiser. Una volontà che si declina nei fatti con il blocco delle bad ads e dei bad actors, che nel 2018 ha impedito a 2,3 miliardi di annunci ingannevoli o pericolosi di apparire sullo schermo dell’utente finale, arrivando all’esclusione dal network pubblicitario del colosso di ben 734.000 tra publisher e sviluppatori di app e alla rimozione degli annunci da quasi 1,5 milioni di app.
Misure di prevenzione più strette stanno trovando spazio anche nel contrasto delle fake news e proprio tra qualche giorno verranno rilasciate le policy, oltre alla grande attenzione riservata alla rimozione dei video sensibili da YouTube. «L’83% dei video “estremisti” sono già stati cancellati dalla piattaforma: per scoprirli utilizziamo il machine learning e il supporto di persone reali, che flaggano i contenuti quando li intercettano». Si è espanso, nel corso del 2018, anche il Google Measurement Program, che mette assieme i partner nuovi comn quelli preesistenti per offrire ai brand un ventaglio di opzioni differenti per misurare l’advertising media.
L’importanza del dato e della predittività
Che si parli di utenti o di advertiser, il tema della fiducia non è mai slegato dal dato e dalla sua gestione. «In un mondo di data privacy, i dati di prima parte sono vitali. Ma bisogna anche essere chiari sul loro utilizzo. Usare i dati dei partner può aiutare a raggiungere audience profilate sugli interessi, ma è necessario che i partner in questione condividano la stessa visione della privacy», dice ancora Raghavan, che poi ha chiuso il suo intervento lanciando una sfida: «Fate di più, ma con meno dati». Google, ha spiegato ai giornalisti presenti alla kermesse di Londra di possedere un insieme di dati enorme, ma solo una piccolissima parte riguarda le loro attività.
«Il resto sono contenuti privati, salvati, ad esempio, sul cloud; e quindi, la company, da questi non monetizza. Del sottoinsieme rimanente, soltanto una piccola parte è utilizzata per migliorare l’experience e per la personalizzazione delle ads». L’obiettivo, dunque, è «utilizzare il più piccolo insieme di dati che possiamo, e sfruttare le capacità predittive dell’algoritmo, sempre più evolute, e del machine learning per proporre esperienze e annunci che si dimostrino sempre più coinvolgenti ed efficaci».