Mashable Social Media Day + Innovation Days 2018: il futuro è di chi conosce il cliente
Si è conclusa la prima giornata dell’appuntamento, ricco il panel di interventi che hanno portato il dibattito sul palco dell’Università IULM di Milano a esplorare le strategie di comunicazione sui social che performano meglio in quest’epoca, con un assunto fondamentale che accomuna tutti: vince l’approccio user centric
di Anna Maria Ciardullo
Eleonora Rocca, CEO & Founder dei Mashable Social Media Day Italy + Digital Innovation Days, ha aperto il lavori dell’edizione 2018 con un messaggio di benvenuto e raccontando come la tre giorni, in soli tre anni, si sia trasformata in una storia imprenditoriale di successo e punto di riferimento nel settore. Tra le motivazioni che si nascondono dietro questa affermazione, vi è lo spirito che anima la realizzazione dell’iniziativa, in grado di mixare in modo unico formazione, networking e divertimento. Prima di dare il via agli interventi della prima giornata, Rocca ha svelato alcuni numeri inediti di questa edizione che si concluderà domani, dove sono attesi 1.494 partecipanti paganti (i ticket sono andati sold out già in prevendita) con un trend positivo di crescita sul fatturato del +30% YOY. Obiettivo del team di oltre 50 persone che lavora alla realizzazione della kermesse, insieme a suoi ambassador che nei mesi precedenti si dedicano alla promozione dell’evento sulle piattaforme social, è quello di crescere ulteriormente. Questo, anche attraverso nuove iniziative, come il lancio di un eshop con merchandising a tema “Born to create” e l’avvio di un crowdfunding su Facebook. La scelta del ricco panel di ospiti, che comprende attori italiani e internazionali, moltissime testimonianze giovani, influencer, manager, professionisti, invece, vuole portare, attraverso esempi e case study di successo scelte per il loro altissimo livello di innovazione, a stimolare il dibattito su un settore, quello del digitale, in continua evoluzione, dove i social network svolgono, oggi, un ruolo fondamentale.
I trend del 2019
Tra i tanti topic discussi nelle aule dello IULM di Milano, uno su tutti: cosa ci riserva il futuro? Quali sono i trend da tenere d’occhio per giocare d’anticipo il prossimo anno? Andrea Fusco - Head of Social Strategy di The Big Now, li ha condensati in quattro categorie dopo un’attenta analisi delle migliori campagne social viste nei primi 10 mesi dell’anno:
• Interactvertising: la comunicazione social impone un’interazione attiva e proattiva con l’utente, il quale deve essere messo nelle condizioni di compiere un’azione, come creare contenuti, e di ottenere anche qualcosa in cambio.
• Snack version: la pubblicità deve essere destrutturata per risultare più leggera e “digeribile” per gli utenti, non necessariamente nella durata, ma anche nel messaggio e nell’impatto, per valorizzare il tempo di attenzione che l’utente dedica in media a una comunicazione: 1,7 secondi.
• Popupping: oggi, funziona creare contenuti pop up, ossia che hanno una durata effimera (come le Stories) e fanno leva sull’urgenza degli utenti di non perdersi qualcosa (FOMO - Fear of missing out). Il 58% degli utenti ha paura di perdersi qualcosa se non controlla i social network e il 68% acquista d’impulso a causa della FOMO.
• Brand movements: I brand oggi devono trovare uno scopo o dimostrare una presa di posizione, nel proprio o in altri contesti affini, in cui gli utenti possano identificarsi.
Quindi, quali strategie deve mettere in campo un brand per essere notato sui social media e conquistare l’attenzione delle persone? Quali sono i vettori di visibilità dei contenuti che consentono di emergere dal rumore di fondo, in un contesto sempre più ad alta frequenza di contenuti? Prima di tutto, secondo Tiziano Tassi, CEO di Caffeina, bisogna mettersi in discussione, abbandonando ogni certezza e adottare il cosiddetto “human center approach”, ossia mettere al centro i bisogni delle persone per costruire la migliore user experience. Non esiste una formula magica se non quella di affiancare alle proprie strategie un continuo lavoro di analisi delle performance dalle quali imparare, migliorare e ricominciare da campo. Un punto di partenza, potrebbe essere quello di analizzare le conversazioni che i consumatori hanno sui social, il cosiddetto “social listening”. Capire di cosa parla un consumatore è il primo metodo per individuare le sue intenzioni e i suoi interessi e per offrirgli contenuti e comunicazioni che possano ingaggiarlo. Ma, consente anche di cavalcare i cosiddetti tormentoni della rete, come l’acqua brandizzata da Chiara Ferragni, il buzz sulle serie tv e così via, sfruttando nelle proprie comunicazioni l’onda di attenzione che creano.
«Messaging uguale business»
Spesso, però, le comunicazioni quanto i prodotti, perdono di vista un fattore importante: l’utilità. La maggior parte degli interessi degli utenti nasce da un bisogno, soddisfarlo semplificando la loro vita è una chiave di successo molto importante. Con gli utenti, oggi, si può anche parlare direttamente. Ad esempio, attraverso un chatbot, come ha fatto Deutsche Bank con l’aiuto di E3, agenzia del Gruppo Digitouch che ne ha creato uno in fase di rilascio sulla pagina Facebook ufficiale di Deutsche Bank Easy. «Da una parte, il cliente riceve assistenza immediata e l’azienda, dall’altra parte, può inviare notifiche, promozioni, contenuti, aggiornamenti e messaggi personalizzati in maniera totalmente automatica. Il chatbot è quindi il nuovo strumento di customer relationship management e di lead nurturing prezioso per la strategia aziendale del futuro», spiega Enrico Torlaschi, Managing Director di E3.
Non dimentichiamo il contenuto
«Innovazione è anche contenuto e saperlo comunicare», spiega Isabella Lazzini, Marketing and Retail Director di Huawei Italia, che ha raccontato sul palco dell’evento una serie di iniziative volte ad avvicinare i clienti al marchio di telefonia. Ma come si possono offrire ai consumatori esperienze che non siano limitate al solo uso di device, ma che riguardino l’intero consumer journey? Trovando un tone of voice adatto alla propria audience, ad esempio, che sia serio, irriverente, ironico, non importa, purché segua un’idea creativa, si basi sulla costante analisi delle performance e generi uno storytelling inclusivo. Sull’abuso di questo termine, storytelling appunto, ha dato la sua opinione Filippo Giotto, Head of Social Media & Online Advertising di Banca Mediolanum. «Amiamo fare (e parlare di) branded content, content marketing, native e così via, convinti di proporre narrazioni autentiche e interessanti. Ma è davvero così? I brand, oggi, non devono essere semplici narratori, ma veri e propri producer di contenuti, che abbiano come perno la verità. Raccontare un prodotto in modo autoreferenziale non paga, bisogna osservare il mondo in cui un prodotto è inserito o può inserirsi e costruire valore attorno a questo».
Il contributo della tecnologia
Oggi, l’idea creativa può contare su un alleato molto forte, se ben sfruttato: i dati digitali. Nel processo di costruzione di una campagna risulta, infatti, fondamentale il giusto mix tra creatività e strategia, come hanno spiegato sul palco due portavoce di Wavemaker, Alessandro Pastore, Content Marketing Director, e Giada Divisato Content Strategy Lead. «Il futuro è di chi conosce il cliente» chiosa, infatti, Matteo Arpe, Founder & CEO di Tinaba, l’app che ha rivoluzionando il mondo dei pagamenti e della gestione della liquidità, in un click. Ma il mondo tech si sta evolvendo mettendo in risalto anche altre due tecnologie che oggi, chi fa comunicazione, sui social e non, non può non prendere in considerazione: Artificial Intelligence e Blockchain. Marco Marranini, COO di Open Influence, ha spiegato come l’AI possa essere applicata all’influencer marketing e aiutare i brand a individuare il giusto testimonial e persino a predire la performance che può raggiungere una determinata campagna. A inserire con successo la Blockchain nel proprio modello di business, invece, è Friendz, che ha portato la case study della sua recente ICO, e che è riuscita a raccogliere 24 milioni di dollari da 15.000 persone provenienti da tutto il mondo attraverso la gamification. Si tratta dello stesso modello applicato anche dalla sua innovativa piattaforma, che trasforma gli user generated content in vere e proprie campagne, generando passaparola e affidando il ruolo di supervisione dei contenuti agli utenti stessi, di fatto, decentralizzando il digital marketing.
Il Giornalismo nell’era digitale
Simone Guzzardi, Partner & Managing Director di L45 ha, infine, aperto una parentesi su come i social media, in modo pervasivo, abbiano cambiato profondamente anche il modo di fare giornalismo. Quali sono le fonti online le più consultate dai giornalisti per scrivere i loro articoli? Come usano nel dettaglio i social media per interfacciarsi con colleghi, aziende e personaggi pubblici? Quali sono i social media da loro più utilizzati per i diversi scopi professionali? A tutte queste domande e a molte altre ha risposto la ricerca “Il giornalismo nell’era digitale”, condotta da L45 su un campione di 200 giornalisti italiani. Secondo l’analisi, il 90% dei giornalisti svolge ricerche online in fase di preparazione degli articoli, dove il sito web aziendale e gli articoli di altre testate risultano le prime fonti online. La gestione della reputazione aziendale online è diventata parte integrante delle attività di media relations, soprattutto su LinkedIn e Twitter che sono i principali social media utilizzati come fonti di notizie. LinkedIn, inoltre, è il social media più utilizzato dai giornalisti per interloquire con i responsabili aziendali.