Il convegno di Ibc: l’inflazione rallenta ma il contesto socio-economico sui consumi resta instabile
Il summit organizzato dall'associazione di cui è Presidente Alessandro D'Este ha messo in luce le preoccupazioni degli italiani soprattutto rispetto a salute e benessere economico
Gli intervenuti al convegno di Ibc
Salgono i prezzi al consumo (del 9,6%) ma calano i volumi di merce venduta (del 5%) nei primi due mesi del 2023. E “le tensioni sui prezzi potrebbero smorzarsi solo nel 2024”, dice Alessandro d’Este, presidente di Ibc, l’Associazione delle industrie che producono beni di consumo (33mila imprese che generano un giro d’affari stimato in 100 miliardi di euro), che ieri al Magna Pars di Milano ha organizzato un convegno dal titolo “La filiera dei beni di consumo nell’era dell’incertezza”. Su questo tema hanno discusso Dario Baroni (A.D. di McDonald’s Italia), Tito Boeri (economista dell’Università Bocconi), Alessandra Ghisleri (Direttrice di Euromedia Research), Giuliano Noci (Docente del Politecnico di Milano), Mara Panajia (Presidente e A.D. di Henkel Italia) e Maniele Tasca (D.G. di Selex Gruppo Commerciale), coordinati dal direttore del quotidiano la Repubblica, Maurizio Molinari.
Il contesto
Inequivocabili i dati che fotografano il Belpaese. Su 40,5 milioni di contribuenti italiani il 3,9% ha un reddito annuo lordo superiore a 60mila euro, solo il 4% dichiara più di 2.580 euro netti al mese e il 56% degli italiani non supera i 20mila euro all’anno, ovvero meno di 1.300 euro netti al mese. Tradotto in certificazioni Isee significa che sui 10 milioni e 194.578 famiglie che lo compilano (il 61,2%) l’80,2% denuncia un Isee inferiore a 20mia euro e il 57,5% inferiore a 10mila mentre 1,9 milioni di famiglie (pari al 7,5%) equivalenti a 5,6 milioni di individui /pari al 9,4%) sono in povertà assoluta. Di fronte a questi preoccupanti dati ci sono alcune distorsioni tra realtà e percezione della realtà che danno un quadro differente dell’Italia. La realtà dice che l’Italia, nel periodo del Covid, ha registrato una crescita dell’11% e che l’annus horribilis si è registrato nel 2022 con un +0,8% della produzione manifatturiera a causa della crisi energetica rispetto al +12,8% del 2021 (fonte Nomisma). Dati Istat e Banca d’Italia dicono che a fine 2021 la ricchezza netta delle famiglie italiane (notoriamente popolo di risparmiatori) era cresciuta del 3% e che nei depositi bancari c’erano 104 miliardi in più rispetto alla fine dell’anno precedente, anche se il “sentiment” degli italiani (sì, insomma quello che dice la pancia degli italiani) segnala che 8 italiani su 10 danno un giudizio negativo della situazione economica e che 1 su 4 dichiara di avere difficoltà ad arrivare a fine mese, che 4 su 10 ritengono che la situazione della propria famiglia non migliorerà nei prossimi mesi e che addirittura 6 su 10 ritengono possibile che l’aumento delle disuguaglianze di reddito provocherà proteste.
Le prospettive
Nel raffronto pre e post-Covid, un dato interessante viene segnalato da Alessandra Ghisleri che praticamente sfata un mito dei nostri giorni: “Mentre le paure degli italiani prima del Covid vedevano in testa il tema dell’immigrazione ora la paura maggiore è quella legata alla salute (22,2%) seguita dalla preoccupazione di non poter mantenere il benessere economico (17,1%), dal perdere (o non trovare) il lavoro (11,1%) e dal clima di guerra nel mondo (9,8%). Non solo. Mentre durante il Covid i sentimenti più diffusi tra gli italiani erano la rabbia e la paura, ora è comparsa una nuova parola: l’attesa, che occupa il pensiero del 28.9% degli italiani davanti alla rassegnazione (17.6%), alla paura (ancora pur sempre al 16,2%) e all’ottimismo e alla fiducia, ferma al 15,9%. Le prospettive sui consumi? Il 45% degli italiani pensa di spendere di più per le bollette, il 32% per cibo e bevande, il 53% ritarderà i grandi acquisti e solo il 30% del Paese riuscirebbe a soddisfare una spesa imprevista superiore a mille euro. A segnalare gli effetti nefasti dell’inflazione ci ha pensato Tito Boeri: “Impoverisce le famiglie con reddito fisso, erode i risparmi di una vita, favorisce i debitori rispetto ai creditori, colpisce chi ha lavori non coperti da contrattazione collettiva e a lungo andare ha effetti devastanti sul tessuto sociale”. La nota positiva è arrivata dal Professor Giuliano Noci, Docente al Politecnico di Milano: “Attenzione: l’Italia gode ancora nel mondo di uno straordinario pregiudizio positivo del Made in Italy. Sfruttiamolo! Nel 2010 l’export italiano era di 320 miliardi di euro, nel 2020 di 430, nel 2022 di 620, un balzo enorme in soli due anni. Le piccole imprese italiane, che sono più del 95% del tessuto economico italiano, devono puntare sull’esportazione, soprattutto verso l’universo di influenza cinese, dando più efficacia al marketing e targhettizzando l’export sui singoli territori. La sola Pechino conta 30 milioni di abitanti e ha una fame enorme di prodotti originali italiani”. Sulla stessa lunghezza d’onda le conclusioni del Presidente di Ibc: “Consideriamo prioritarie le politiche industriali volte a favorire l’incremento della produttività, l’accesso al credito, l’export e il sostegno alle transizioni sostenibile e digitale”.