Autore: Davide Sechi
24/10/2024

Cognitive, il concetto di mediatech company trova una sua precisa definizione

Tecnologia e dati che vivono in un equilibrio naturale e procedono in maniera integrata. Incontro con il founder della società Paolo Pettinato

Cognitive, il concetto di mediatech company  trova una sua precisa definizione

Paolo Pettinato

Una media company dalla duplice anima, che si muove con agilità tra dati di qualità e trame tecnologiche, per arrivare a un’offerta ricca e composita: è in sintesi la storia, recente, di Cognitive. Eppure, all’interno di un mercato che si professa aperto ma che poi si spaventa di fronte alle ultime novità, che sul fronte digital si trasformano in rivoluzioni clamorose, cui magari porre freno, qualcuno potrebbe manifestare qualche dubbio. E allora chiediamo lumi, spiegazioni, chiarimenti al founder del gruppo, Paolo Pettinato (ospite di DailyOnAir - The Sound Of Adv).

Media e tech, una miscela che potrebbe risultare  complessa, come riuscite a viverla in maniera naturale? 

«Partiamo dal presupposto che la differenza tra una media company e una tech media company è la stessa che potrebbe intercorrere tra un essere umano e un cyborg; per quest’ultimo l’elemento tecnologico rappresenta la sua essenza, per noi è l’elemento essenziale della nostra attività. Le nostre campagne sono ottimizzate attraverso l’AI, sono certamente incentrate sulle capacità di capire l’impronta cognitiva profonda del consumatore, ma senza un decisivo apporto tecnologico il nostro prodotto non potrebbe esistere. La tecnologia permea anche i nostri processi comunicativi interni, è l’elemento strutturale della comunicazione dell’azienda, regola i flussi informativi, le varie occasioni in cui si parla di noi, crea una sorta di contenitore di dati che va a confluire in un contenitore, uno strumento interno che alimenta e addestra l’AI, la quale, educata, può essere interrogata per fornire informazioni ai dipendenti. Il risultato finale di tutti i processi appena narrati ci porta alla definizione di media tech company»

Come si incontrano in Cognitive anime diverse come quella dell’artificial intelligence, quella tecnologica e quella dei talenti? Come comunicano le varie dimensioni?

«I talenti sono l’aspetto centrale della nostra azienda e, in generale, di chi si muove con una certa ambizione. La tecnologia serve per mettere le persone al centro, le libera dai lavori faticosi, destinati all’automazione; le macchine lavorano su report e ottimizzazione, le persone esplorano e stringono rapporti, il sale di un’industry come la nostra che si basa sulla fiducia»

Il vostro approccio è piuttosto particolare. Riuscite a coniugare tecnologie proprietarie come il Cognitive ID, con la costruzione di tech stack personalizzate a partire da tecnologie proprietarie ed esterne. Un modello misto: come riesce a portare del valore aggiunto? 

«Siamo coscienti di essere dei nani rispetto ai big di settore, che poi sono sempre loro, i Meta e i Google. Abbiamo deciso di cavalcare un nuovo approccio: non competere con loro, ma andare a costruire layer tecnologici sopra le loro intuizioni; insomma, essere nanetti sulle spalle dei giganti. La nostra tecnologia proprietaria su base ID traccia l’utente oltre la normale migrazione dei cookie (mediamente è possibile seguire qualcuno con i cookie per non più di cinque giorni). Il tempo che abbiamo è sempre di meno e tramite la nostra tecnologia riusciamo a costruire analisi anche della durata di un anno. Siamo interfacciati con tutti i big, portiamo valore a noi e diamo la possibilità di scaricare le campagne in maniera sempre più efficiente».

Tra robotizzazione e automazione, emerge forse un’idea di nuovo artigianato?

«Sì, ma deve essere scalabile perché basato sulla tecnologia. Significa intuire le necessità del cliente, capire che le soluzioni possono avere dei limiti, farle magari competere tra loro e creare qualcosa che aggiunga intelligenza e porti risultati, in maniera furba e intelligente».

Qual è la vostra forza principale a livello di funnel? 

«Parlare di funnel significa fare una semplificazione, ossia fotografare l’immagine di un utente che compie processi di acquisto sempre uguali, ma non è così: c’è l’analisi dell’utente, per un tempo maggiore rispetto a quello dei cookie, poi la creazione di campagne che mettano insieme in maniera integrata tutte le leve, awareness e performance, infine lo studio delle soluzioni più appropriate».

Su quale ambito del customer journey siete più specializzati? 

Non abbiamo reali specializzazioni, o meglio viene riconosciuto il nostro ruolo sulla parte performance, dove le chiacchiere, come si suol dire, stanno a zero. Il tutto però viene affrontato in maniera olistica e integrata».

Cosa vi attende nel 2025?

«Un anno di grande trasformazione e crescita. Abbiamo spostato le attività in Italia, il team ha preso definitivamente quota, l’azienda ha cominciato a guardare anche verso l’esterno e quindi a raccontarsi. Nel nostro 2025 ci sarà più comunicazione, collaborazione e un’ulteriore crescita del gruppo di lavoro».