Brand safety: l’impatto sull’immagine del brand è un fatto reale
Il CMO Council, in collaborazione con il Dow Jones, ha rilasciato uno studio sul tema condotto in Gran Bretagna e Stati Uniti. Dopo il “caso YouTube”, i riflettori sono puntati sui contesti in cui la pubblicità viene veicolata. E tra gli advertiser sembra serpeggiare poca fiducia
Quest’ultimo inverno un’inchiesta del Times of London ha alzato un polverone attorno al tema della mancanza di brand safety su YouTube e Google Display Network, ravvivando un dibattito già in essere all’interno dell’industry. L’associazione a contenuti d’odio, se non addirittura inneggianti all’ISIS, ha spinto i principali partiti britannici a interrompere le attività di marketing su YouTube nei giorni precedenti alle Elezioni Generali dello scorso 8 giugno. Prima ancora spender americani e del Regno Unito avevano sospeso l’advertising su YouTube. “Finché Google non assicurerà che ciò non accadrà mai più, rimuoveremo gli investimenti dalle sue piattaforme, eccetto per il motore di ricerca”, tuonava un portavoce del colosso americano AT&T. Da allora Google ha reso più stringenti le regole per promuovere il proprio canale su YouTube, adottando una vera e propria seria di misure di sicurezza al fine di proteggere i brand e rimuovere dal suo interno contenuti inappropriati. Anche le holding media hanno risposto ricorrendo a strumenti interni, o partnership, per garantire ai partner un ambiente qualitativo.
L’immagine aziendale
A distanza di qualche mese la survey “How Brands Annoy Fans” redatta dal CMO Council in collaborazione con il Dow Jones negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, ha scoperto che il 37% dei rispondenti di un campione di 2.000 consumatori, è convinto che l’associazione di una marca a contenuti inappropriati abbia un impatto negativo sull’immagine dell’azienda. Il 10% è arrivato persino a sostenere che boicotterebbe il marchio. “La preoccupazione è che la prossimità, o l’associazione percepita a contenuti d’odio, dolorosi, o contraddittori per l’immagine dell’azienda possano minarne la solidità”, spiega la ricerca.
Il tema delle fake news
Un altro tema indagato dal sondaggio è stato quello delle fake news e in quale modo possano influenzare i consumi. Il 75% ha detto di essere preoccupato per il crescente numero di bufale in circolazione. Il 60% ha detto di voler concentrare la collaborazione con canali editoriali credibili e degni di fiducia. I consumatori hanno scelto i social media come la fonte mediatica meno affidabile dopo amici, televisione, search e giornali. L’88,4% ha ammesso che una esperienza pubblicitaria negativa ha ricadute sulla percezione del brand e quindi sulle vendite. In merito a cosa rende un’esperienza pubblicitaria negativa, il 19,2% l’ha definita come odiosa e intrusiva, il 18,4% ha reputato i contenuti discriminatori, l’11,7% l’ha trovata irritante e noiosa, mentre l’11,6% ha incontrato annunci razzisti o legati a stereotipi.