Al via Interact Lisbon 2016, organizzato da Iab Europe
Nel primo giorno l'evento portoghese ha ospitato player provenienti da ogni angolo del Continente e ha trattato temi di attualità come measurement, viewability, ad blocking, video advertising e mobile
È un’uggiosa Lisbona quella che attende gli ospiti dell’Interact Lisbon 2016. E bisogna farsi strada sotto una pioggia sempre più intensa per raggiungere il Cristal Myriad Center, l’edificio che predilige il vetro agli altri materiali di costruzione e che ha ospitato la prima giornata dell’evento organizzato da Iab Europe. A pochi passi dall’allagata spiaggia, si sono alternati sul palco relatori e argomenti centrali nel panorama dell’advertising continentale, ma anche mondiale. La misurabilità della viewability è minacciata da autentici spauracchi come il traffico non umano e gli ad blocker, mentre il video adv sta vivendo un momento importante e deve spingere al massimo per monetizzare. Così, è stata costruita una scaletta di interventi perfetta per condurre al “cuore” di questi due argomenti.
Paul Barford
Invalid Traffic & Viewability: What is the cost of an Unseen Ad?
Va dritto al punto Paul Barford, chief scientist di comScore, che ha aperto il suo intervento “Invalid Traffic & Viewability: What is the cost of an Unseen Ad?” con una domanda piuttosto complicata: “Qual è il costo delle ads che arrivano davvero agli utenti?”. Certo, esistono sono ricette per misurare la viewability, ma non sempre, anzi quasi mai tengono conto delle impression regalate ai bot o di quelle che fanno solo capolino nella pagina senza davvero mostrare il messaggio. Le metriche utilizzate dovrebbero comprendere caratteristiche statiche, come grandezza dello schermo o posizione del banner, ma anche dinamiche, come il tempo speso dagli utenti sulla creatività. Ma la produzione di invalid traffic è una minaccia continua perché, come dice W. Sutton, “è li che stanno i soldi”. Chi si addentra nelle frodi trova un terreno fertile in rete, perché può rimanere anonimo, attaccare logiche vulnerabili e colpire su larga scala. Le dsp, per esempio, sono un bersaglio particolarmente adatto, ma anche il resto della filiera non ha alcun riparo dietro il quale mettersi al sicuro. Il settore dell’advertising digitale deve, allora, guardarsi da alcuni tipi di traffic generation, spesso spinta da programmi intelligenti che simulano piuttosto coerentemente il comportamento umano; ma anche dai bot, compresi quelli che riescono a sfruttare alcuni strumenti dei giganti tecnologici per generare traffico non umano;. Poi ci sono le ads che rimangono fuori dallo schermo, spesso conteggiate ugualmente, oltre al placement laundry, che consiste in una comunicazione falsa portata da un’inserzione verso un ad provider sul suo stesso placement, cambiando, così, la destinazione del redirect su un sito che dà l’impressione di essere affiliato a una testata importante. ComScore ha già sviluppato qualche soluzione per definire una viewability realistica. A cominciare dalla telemetria e dalle tecnologie che permettono alla società di capire dove e cosa guardano gli utenti, fino ai 25 meccanismi per distinguere il traffico non valido.
The State of Online Video: an ongoing discussion
L’online video ha resistito a queste avversità, crescendo del 60% nell’ultimo anno, ma si affaccia anch’esso alla sfida del measurement, anche se su un altro piano. Trovare metriche adatte vuol dire andare oltre quelle utilizzate per la televisione e gli standard della display. «È difficile progredire usando queste due metriche. Il ctr è la misura su cui si basa tutto il comparto pubblicitario digitale. La tv, invece, è un mezzo per fare storytelling. Non è possibile fare paragoni con l’online, perché quest’ultimo ha la capacità unica di dimostrare il suo valore attraverso i dati» ha spiega Tom Hosking, head of partner studio international Aol, durante il panel “The State of Online Video: an ongoing discussion”. «In realtà, la costituzione delle metriche dipende dal prodotto che si intende promuovere, e non ci sono ancora gli strumenti per mettere insieme le misurazioni tv con quelle online. L’esplosione del digital, poi, non è ancora finita” ha replicato Cengiz Kurt, ceo e founder di Clipkit GmbH. «Anche i modi di compravendita degli spazi sono completamente diversi - ha continuato Rags Gupta, general manager emea di Ooyala, prima di passare la palla a Hosking, che ha concluso: «Il grp è completamente diverso dall’approccio del web, dove sono i dati a suggerire che strada prendere». Il discorso si è spostato, poi, sulla quantità di inventory premium, che non sembra sufficiente. «L’inventory premium dipende da quello che il mercato domanda e da come si pone chi ne parla. I prodotti premium devono essere venduti in privato, bisogna trattarli con cura perché hanno un grande valore intrinseco» ha detto Ooyala, che ha trovato sostegno in Kurt: «Lo spot tv spostato su mobile non può essere considerato premium, lo è invece ciò che risponde meglio ai kpi». «Va però detto che i brand sono impauriti dalle ad fraud. Infatti, sebbene il 97% delle inventory di Aol sono disponibili in programmatic, solo 43% dei budget di brand sono spesi in questa modalità» ha risposto Hosking. «Questo - secondo Graeme Lynch, director business development Emea di TubeMogul - è un problema dovuto alla mancanza di trasparenza, anche sulle dsp».
La soluzione native di TeadsCaroline Hugonenc, global head of research di Teads, durante il suo keynote, ha ripreso entrambi i discorsi e li ha coniugati partendo da un paradosso: una buona parte dei budget tv sono stati spostati su mobile, ma i brand, invece di produrre filmati ad hoc per i dispositivi, utilizzano la stessa creatività del piccolo schermo. La società, che vende a cpcv, garantendo, quindi, la visualizzazione completa dei video, è però conscia che uno spot da 30 secondi è insostenibile per gli utenti. Le ricerche, allora, si sono canalizzate su formati che potessero far presa sui possessori dei dispositivi, in modo da migliorare i risultati e quindi rendere più profittevoli gli investimenti dei brand. Dagli studi condotti emergono alcuni spunti di riflessione. La user experience è un tema fondamentale per publisher e inserzionisti, ma «il 62% di francesi, tedeschi e spagnoli percepisce le video ads mobile più intrusive di quelle desktop. La soluzione native di Teads, invece, non interrompe i contenuti, e infatti abbiamo verificato un’ottima risposta. Infatti, nove utenti su dieci guardano i nostri spot. Le inserzioni opt-in generano un tasso di engagement maggiore di quelle che forzano gli utenti alla visione. Bisogna abbandonare i modelli tv e adottare delle forme digitali, solo così si può combattere l’adblocking». Inoltre, l’attenzione su smartphone e tablet si aggira tra i 3 e i 5 secondi. Spot così lunghi non servono a niente. Per mantenere alto l’engagement degli utenti la creatività deve avere improvvisi cambi di ritmo, e il maggior effetto si ottiene quando il brand è mostrato alla fine. Per non infastidire gli utenti, il volume delle inserzioni video è azzerato di default. In questo modo, la creatività deve trovare nuovi spunti per attrarre gli spettatori, oppure può giocare con il “sento - non sento”. Bisogna, poi, tenere sempre a mente le modalità di utilizzo dei dispositivi. «I contenuti, di solito, sono fruiti tenendo i device in verticale. Il formato inRead è stato sviluppato proprio seguendo questi insight. Ma mentre prima era solo quadrato, adesso è verticale. E i risultati sono ottimi: la brand affinity è aumentata dell’80% e la purchase intention del 100%”» ha continuato Hugonenc. Teads, inoltre, ha individuato quattro opportunità su cui sta lavorando per implementare la sua offerta: drive to store, livestreaming, second screening e affinità utente-messaggio.
L'intervista a Caroline Hugonenc
A margine del suo intervento abbiamo approfondito alcuni degli argomenti trattati.
Il proliferare dei formati dovrebbe essere una grande opportunità per i creativi. La stanno sfruttando?
I creativi stanno entrando nella mentalità giusta per lavorare con i nuovi formati. Il problema è che le digital agency non hanno budget per sviluppare creatività ad hoc per ogni possibilità offerta. I brand danno ancora priorità alla tv e assegnano quello che rimane alle novità del digital. Le agenzie creative che lavorano sull’online, invece, investono molte risorse sul real time marketing e sui social network, ma studiano poco il mobile. Ci sono, però, alcuni marchi che si stanno accorgendo delle potenzialità dei formati verticali, specialmente quelli della industry della moda, che hanno esperienza con i formati verticali utilizzati storicamente nelle riviste.
Quali sono le sfide dei formati verticali?
Il challenge più grande è inserire la creatività giusta. Stiamo testando la possibilità di sfruttarli per il livestreaming, ma in questo caso sono i publisher a dover trovare la soluzione per coinvolgere l’utente, che altrimenti passerebbe più tempo sull’inserzione che sul loro contenuto. Con TVTY, poi, abbiamo già un accordo per la produzione di creatività dedicata al second screen. Proveremo a lanciare le prime cose durante i prossimi Europei di calcio. E stiamo portando questa possibilità anche in Spagna.
Avete in cantiere qualche novità pronta ad essere lanciata in breve tempo?
Stiamo lavorando su un algoritmo che ci aiuterà a suggerire la video ad migliore da inserire in un contenuto, sulla base dei dati utente. Per ora il progetto è relativo a un prodotto interno, ma non è escluso che si possa spostare sul lato buying.
Siete tra le poche agenzie ad aver prodotto un report sull’adblocking. Cosa vi ha spinti a farlo? E come rispondete a questo problema così diffuso?
Prima che Apple permettesse di scaricare gli ad blocker dall’App Store erano in pochi a parlarne. Ma in Europa queste tecnologie erano già abbastanza diffuse. Dopo l’ondata di notizie provenienti dagli Stati Uniti abbiamo subito capito che questo poteva diventare un problema, e allora lo abbiamo analizzato cercando di capire come arginarlo. Crediamo da sempre che gli utenti debbano stare al centro di tutto, e quindi abbiamo utilizzato i risultati del nostro studio per fare in modo che i nostri prodotti siano più rispettosi possibile. E questo sta pagando anche a livello di efficacia, infatti il nostro format è decisamente più apprezzato dei preroll. Ultimamente, comunque, abbiamo stretto una partnership con Secret Media, che permette alle nostre ads di scavalcare queste tecnologie.
Ho sentito anche di una certificazione Google…
Siamo l’unica native agency che collabora con Google, precisamente all’interno delle AMP. Abbiamo iniziato da meno di un mese con dieci publisher francesi.
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