Autore: Redazione
28/06/2023

Adesso basta!

I gravissimi casi di MeToo che stanno emergendo vanno sicuramente sanzionati, ma la industry deve attrezzarsi per reagire agli attacchi concentrici di cui è fatta oggetto

Adesso basta!

Indubbiamente quello che è già stato appurato essere successo, e quanto a valanga verrà fuori nei prossimi giorni sui casi di MeToo nelle agenzie di comunicazione, è gravissimo e non si può sottovalutare, sia per la industry in sé proprio in quanto comparto produttivo, sia perché il suo lavoro è mirato a produrre relazioni tra le marche e le aziende e i consumatori, sia anche perché, soprattutto dal punto di vista creativo, le campagne e le iniziative di comunicazione sono anche uno dei principali canali formativi della diciamo così coscienza pubblica e dei valori che dovrebbe adottare in termini di coscienza individuale e di sensibilità e rispetto di genere, della diversity & inclusion, come dell’ambiente, della tutela dei minori e in generale di chi è più fragile. Le agenzie hanno quindi una responsabilità sociale enorme e delicata, tanto più oggi che ognuno può esprimere il proprio giudizio, attraverso il percepito che si ha di loro, sull’operato delle aziende, così come lo fanno per esempio, sugli sportivi o sui politici. Naturalmente questo vale e dovrebbe valere anche per i mezzi di comunicazione e i social, i libri e le opere d’arte e di intrattenimento.

Il contesto

Ma è evidente che il mondo è molto velocemente cambiato ed è in continuo mutamento, per cui il serissimo giornalista che scrive su un quotidiano di centenaria storia per ormai se va bene qualche centinaio di migliaia di lettori, siede a fianco, nelle conferenze stampa a un o a una giovane influencer che, per dire, a 25 anni e con tutto il rispetto per la professionalità di ognuno, ha magari 5 milioni di follower ai quali può dire ciò che crede e suggerire più o meno surrettiziamente l’acquisto di questo e quel prodotto. Ma torniamo a bomba - ribadendo di nuovo a scanso di equivoci che quanto sta emergendo, e si spera di no emergerà, è o è stato di una gravità inaudita - per registrare che adesso che si sollevano i coperchi, emergono anche insinuazioni, allusioni o episodi veri e provati atti a dimostrare che nel mondo delle agenzie - ma forse è bene dire "anche" nel mondo delle agenzie - si è sottopagati o pagati poco, che non ci sono orari di lavoro, che i capi sono dei tiranni e che tutto quello che si vende come immagine sul loro essere buoni e stimolanti luoghi di lavoro siano tutte balle ora smontabili in poche chat e con altrettanti pochi post. E che il mondo della comunicazione - già di per sé comunque fragile perché non ha una storia di relazioni aziendali tra dipendenti che siano ben definiti come tali e datori di lavoro di quelle che alla fine, se va bene, sono singolarmente delle pmi al massimo da qualche centinaio di addetti compresi i capi, dove non a caso non si capisce ancora bene in base a quale formazione ci si approdi né quale sia il giusto contratto di lavoro da applicare - si sia trovato ora come una bella (magari anche molto intenzionalmente) addormentata che viene risvegliata da una secchiata di acqua fredda, è un dato di fatto. Adesso quindi, la secchiata, anzi le secchiate, non sono di acqua ma di altra materia marrone che qualcuno lancia sicuramente a ragion veduta e da non sottovalutare prendendo coraggio dal fatto che se anche per lo più ancora in modo anonimo, può iniziare a tirar fuori quello che gli e soprattutto le è successo 10 anni fa o ieri. Ma sono secchiate anche che altri, ragionando su quanto si legge, su quanto viene alluso senza fare né il proprio di nome né quello di persone o agenzie da finalmente mettere alla forca, fanno colare con astuzia e arguzia, quasi che finalmente ci si possa vendicare senza magari neanche farne parte in modo particolarmente organico di un ambiente che sicuramente negli anni si è costruito una pessima reputazione, tant’è che oggi tutti si sognano quei fee faraonici che hanno reso forse ricchi in modo inappropriato pionieristici capi d’agenzia o di case di produzione che si erano letteralmente inventati una professione senza saperne nulla già dai tempi di Carosello (al netto ovviamente di quelli bravissimi e onestissimi che pure ci saranno stati, ci mancherebbe anche qui).

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Confusione

Oggi la comunicazione è diventata un processo industriale i cui operatori si sono appena autocelebrati per la settantesima volta a Cannes, abbastanza terrorizzati che l’I.A. tolga loro posti di lavoro. Insomma, come detto, non c’è molto spirito di corpo perché il corpo non è mai stato allenato, si incomincia a fare qualcosa adesso - davvero encomiabile e non per piaggeria l’impegno di UNA sul fronte delle agenzie e dell’ADCI su quello dei singoli creativi, ma stiamo parlando di qualche centinaia di sigle nel primo caso e di qualcheduno di più in termini di art e copy nel secondo - e quindi ora si scopre che l’unico corpo che veniva invece nemmeno troppo soltanto goliardicamente valutato e apprezzato era ed è quello femminile. Giustizia sia fatta, ripetiamolo anche una volta di più ma, detto questo, intorno al "dorato" mondo della pubblicità è che come se si fosse iniziato un gioco a chi la spara più forte e mira meglio verso una Crocerossa che chissà quali vizi, peccati e nefandezze si porta dentro. Si potrebbe facilmente dire che tutto ciò e di peggio avviene anche in altri ambiti, dagli ospedali (in stile "Grey’s Anatomy" o del più casereccio "Doc - nelle tue mani") alla politica e allo sport.

Speculazioni

Così, nella rincorsa a "colpirne uno per educarne cento", riemergono o emergono - a parte quelli che vogliono restare anonimi o difesi da un nom de plume- come salvatori della patria, giudici irreprensibili degli altrui vizi, personaggi francamente di serie B, forse qualcuno anche già frustrato per conto suo, creativi che hanno anche fatto gli opinionisti ma di cui non si ricorda una campagna (o almeno non me la ricordo io), gente che ha anche mirato a ruoli di responsabilità, sedicenti "architetti" che pensano che gli open space e le pareti di vetro sino stati inventati solo per meglio guardare le gambe delle stagiste. Riappare anche gente maliziosamente recuperata nei suoi casali toscani come il suo cognome dove produce olio e vino e alleva cavalli, colui che è stato ed è un grande fotografo che ha fatto la sua fortuna anche con le campagne per Benetton (che per altro poi non se l’è passata molto bene e certo per carità non per colpa dei suoi scandalosi 6 x 3) e che ha fatto del suo rancore per le agenzie e i pubblicitari un suo celebre cavallo, appunto, di battaglia che ora può tirar fuori di nuovo a briglie sciolte. Ed ecco che, a domanda, risponde severo: "Non ho mai lavorato con un’agenzia pubblicitaria perché mi fanno letteralmente schifo. Quelli che lavorano in pubblicità, in quanto cani, sono sempre arrapati. L’unica cosa che sanno fare i “pubblicitari di razza” è toccare il culo alle ragazze". E ancora: "Non frequento gente di quel settore. So come funziona, ma li tengo tutti a debita distanza. Le agenzie pubblicitarie sono “scum”, hanno rovinato tutto con il loro diabolico marketing. Non conoscono la grafica, sono pieni di ignoranti senza uno straccio di idee e poi fanno brainstorming per raccattare due spunti in croce". Per finire lapidario: "Le campagne a cui ho partecipato sono state grandiose proprio perché ho rifiutato di dovermi forzatamente “confrontare” con qualche “illuminato”. Con le copy di turno… Le scosciate di turno, più che altro". Appunto. Per restare in fattoria ci mancano solo le "capre" di Vittorio Sgarbi, ma potrebbero arrivare anche quelle. Allora, per finire, le agenzie hanno molta strada da fare, in termini di formazione e di cultura, al loro interno e per quello che, come detto, rappresentano nella catena della produzione di valore non solo commerciale ma anche culturale. Ma devono anche trovare la forza, il coraggio, la determinazione di dire "Adesso Basta".