Autore: Redazione
29/11/2016

ESCLUSIVA Facebook sul tema delle metriche: «Siamo trasparenti»

Il Country Director Luca Colombo affronta con DailyNet gli errori di calcolo sulla misurazione, l’allargamento a terze parti, i rapporti con UPA e con gli editori e tanto altro ancora. Con una certezza: «Vogliamo contribuire allo sviluppo della industry»

ESCLUSIVA Facebook sul tema delle metriche: «Siamo trasparenti»

«Ci stiamo muovendo per rimediare agli errori di calcolo commessi, con l’obiettivo di dare piena trasparenza al mercato nel più breve tempo possibile. Il problema esiste, per noi è importante, ma è falso dire che Facebook non è una società trasparente né che non si fa misurare da terzi». È questo il pensiero di Luca Colombo, Country Director di Facebook Italia, a proposito del tema dell’errato conteggio delle metriche emerso a fine estate e dal quale è scaturito un articolato dibattito intorno alla società di Menlo Park.

Incontrato da DailyNet negli uffici milanesi dell’azienda, Colombo ha cercato di fare chiarezza sul ruolo di Facebook alla luce di un sentimento di generale preoccupazione dell’industry, «che ci ha portato a investire risorse, tempo ed energie per migliorarci e risolvere al più presto il problema».

La vicenda sulle metriche di Facebook

Il dibattito ha avuto inizio il 23 settembre scorso, quando un post a firma David Fischer, vice president of business and marketing partnerships di Facebook, ha reso nota un’inesattezza nel calcolo della durata media di visualizzazione dei video all’interno dei report forniti dalla società. Più in dettaglio Facebook ha riconosciuto di aver sovrastimato il tempo di visualizzazione media dei filmati, un indicatore rilevante per gli inserzionisti che investono i propri budget nell’ecosistema del social. La società, comunque, aveva già discusso la questione con clienti e agenzie partner, prima che l’eco mediatico facesse il suo corso.

A metà novembre Facebook ha poi annunciato di aver intrapreso le prime azioni concrete per essere più trasparente in tema di misurazione, ma ha anche riconosciuto di aver individuato nuove falle nel sistema di reportistica, con errori di calcolo riguardanti l’organic reach su Page Insights, il tempo speso sugli Instant Articles, i referrals e il tasso di completamento dei video. Quattro nuovi conteggi errati su un totale di circa 220 metriche. Non una cosa da poco per una società valutata 350 miliardi di dollari e in grado di fatturare circa 23 miliardi di dollari quest’anno, con una porzione di mercato del 67,9%. Abbiamo chiesto a Colombo alcune delucidazioni.

Gli errori di misurazione sono stati già riparati? E toccano solo Facebook o tutto l’ecosistema di prodotti della società?

Abbiamo sistemato la metrica relativa alla durata media di visualizzazione dei video mentre per le ultime quattro stiamo lavorando per restituire al più presto i dati reali. Penso ragionevolmente che per l’inizio dell’anno prossimo tutto sarà risolto. Le tempistiche variano da metrica a metrica, ma noi siamo impegnati per risolvere il problema nel suo complesso. Intanto continuiamo a tenere i dati sotto osservazione e chi utilizza la nostra piattaforma è informato del fatto che alcuni indicatori forniscono risultati alterati. In merito alla seconda domanda, il tema è trasversale a tutti i prodotti, in quanto la dashboard integra al suo interno tutti i nostri asset, tra cui Instagram. Ovviamente l’errore relativo agli Instant Articles riguarda solo Facebook.

C’è un impatto reale sugli investimenti pubblicitari su Facebook?

No. Le metriche sono legate alla reportistica e non hanno niente a che fare con gli investimenti dei nostri partner. Ci dispiace che ci siano stati degli errori, ma i clienti hanno mostrato comprensione se non apprezzamento per i nostri sforzi volti a riportare la situazione alla normalità. E poi voglio chiarire che stiamo parlando di un calcolo legato alla reportistica. Ciò non ha nulla a che vedere con la nostra qualità del dato, tra le migliori disponibili sul mercato: la capacità di profilazione dell’audience è intatta. Però sappiamo che la reportistica rimane un fattore centrale, per noi e tutta l’industry, ed è per questo che vogliamo dare un segnale a tutti.

Cosa state facendo in concreto?

Dalla scoperta del problema ci siamo concentrati sul miglioramento e l’accentuazione delle revisioni dei processi interni relativi alle metriche. C’è una attenzione maggiore. Poi abbiamo avvertito i nostri clienti con i quali abbiamo contatti continui e stiamo programmando una serie di comunicazioni per fornire loro aggiornamenti costanti. Anche per questo abbiamo dato vita a un Measurement Council e stiamo valutando l’apertura a nuovi enti di misurazione esterni.

A proposito di terze parti, Facebook non è una piattaforma chiusa?

Negli ultimi anni si è creata un po’ di confusione su di noi. Allo stato attuale collaboriamo con ComScore, Integral Ad Science, Moat e Nielsen, i quali misurano la viewability degli annunci pubblicitari sulle nostre properties. Esistono differenti standard di mercato, ma chi investe su Facebook può liberamente rivolgersi a loro per verificare i tassi di viewability, affidandosi all’azienda che preferisce. Questi istituti di misurazione offrono servizi basati sull’elaborazione di dati a cui abbiamo dato accesso. Non esiste un parametro assoluto per misurare i social, ma esiste la possibilità di essere più trasparenti. Anche per Facebook.

Come pensate di farlo?

Vogliamo ulteriormente allargare la rete di partner per la misurazione. La scelta sarà presa a livello globale, tenendo conto delle esigenze locali. Siamo una multinazionale e dobbiamo ragionare con logiche che trascendono i confini nazionali. Solo così possiamo scalare il business, specialmente nella scelta dei partner, mantenendo una rilevanza locale. Il nostro obiettivo rimane quello di offrire una più ampia copertura possibile.

E del Measurement Council cosa dice?

Facebook ha deciso di istituire un Measurement Council globale per ragionare, innovare e avviare un confronto su questo argomento con i principali attori del mercato, quindi società di misurazione, clienti diretti e agenzie. In Italia abbiamo lanciato questa iniziativa per primi in tutto il mondo perché riteniamo che il tema della misurazione sia fondamentale.

Perché avete sentito l’esigenza di avviare un’iniziativa del genere in Italia?

Nel nostro Paese c’è una forte sensibilità sia da parte del mercato sia del nostro team. Pensiamo che la trasparenza sia una grande opportunità da sviluppare insieme ai clienti e agenzie, in un contesto di scambio reciproco di informazioni e valore. È così che si è concretizzata l’idea di collaborare con il mercato dialogando con esponenti dei settori gdo, automotive, agenzie e altri comparti merceologici.

Torniamo agli Instant Articles, quali sono gli impatti degli errori di misurazione?

Anche in questo caso l’errore non ha relazione con alcuna forma di monetizzazione degli editori. Abbiamo sovrastimato il tempo speso a consultare gli articoli, ma la visibilità degli annunci non è stata intaccata. Lo scopo di un progetto come Instant Articles è trasferire e creare valore per editori e utenti: le persone vanno su Facebook per cercare notizie e gli editori sono sulla piattaforma per raggiungere un pubblico interessato. Certo, all’inizio abbiamo dovuto perfezionare il prodotto ma ora gli Instant Articles generano da un parte una migliore esperienza per l’utente e dall’altra favoriscono il consumo degli articoli perché sono più veloci e interattivi, con benefici per i publisher. Con Instant Articles gli editori hanno massima libertà, sono loro a decidere se adottare il servizio, monetizzarlo autonomamente o appoggiarsi a Facebook Audience Network, operando attraverso un modello di revenue sharing che consente loro di trattenere il 70% dei ricavi. Gli approcci che abbiamo visto sono stati diversi: c’è chi vende in autonomia, chi si avvale in modo più intensivo di FAN e chi decide di sceglierci solo per l’invenduto.

E come vi comportate sulla misurazione del traffico?

Come annunciato fin dal momento del lancio di Instant Articles, da quest’estate è stata implementata l’integrazione di misurazione di terze parti tra cui ComScore, Nielsen e sistemi di web analytics e in particolare in Italia anche Audiweb sta misurando gli Instant Articles. Abbiamo un rapporto particolare con gli editori: è chiaro che vogliamo contribuire allo sviluppo dell’industry. Però vogliamo essere trasparenti e anche nel caso degli Instant Articles, superate le tempistiche tecniche, abbiamo integrato soggetti terzi. Sono convinto che ci siano sufficienti elementi per dimostrare la trasparenza e la verificabilità di Facebook. In generale, cerchiamo di interagire con tutti gli attori del mercato.

Anche con UPA?

Comprendiamo bene i desideri di chi investe su Facebook, e quindi di UPA. Terze parti che misurino l’audience e le prestazioni delle campagne sono la base per valutare qualsiasi piattaforma operi attraverso internet. Sul principio sono d’accordo. Non a caso Audiweb ci misura e i dati ci sono, anche se non sono disponibili sul nastro di pianificazione possono essere lo stesso consultati. Siamo attenti alle richieste di mercato e clienti e continuiamo e continueremo a dialogare con UPA e le altre associazioni. La fruizione dei media e la conformazione di internet sono cambiati, specialmente a causa del mobile. La nostra visione in termini di misurazione si declina a partire da tre pilastri: primo, i cookie sono superati perché non rappresentano le persone reali; secondo, i panel per misurare le audience sono superati, perché sono appunto basati su stime e su rilevazioni censuarie; terzo, la misurazione deve essere cross-device. Raggiunte queste condizioni possiamo  costruire un sistema di misurazione realmente condiviso.

Ha accennato al mobile, molti vi accusano di cannibalizzare il canale.

Quando siamo approdati in Borsa, nel luglio 2012, in molti sostenevano che Facebook non sarebbe stata in grado di affermarsi sul mobile e che la società era desktop-centrica. Dopo le prime criticità, i tempi sono cambiati e oggi l’84% delle nostre entrate proviene da mobile. Non penso sia una colpa, anzi la nostra visione si è rivelata azzeccata. Ben prima del 2012 abbiamo costruito una audience mobile e poi l’abbiamo monetizzata, inizialmente con quote minime mentre oggi il canale costituisce il fondamento del nostro business, producendo valore per tutti gli attori in gioco.

Sarà lo stesso per le vostre app?

L’azienda ha sempre agito con una strategia coerente: creare un servizio utile, costruire un audience, e fornire alle aziende una opportunità di comunicazione. Dapprima abbiamo raggiunto 1 miliardo di iscritti a Facebook, poi più di recente anche Messenger e WhatsApp hanno tagliato questo traguardo. Penso che possano essere punti di contatto utili per le aziende, ma anche qui bisogna considerare le caratteristiche dei singoli mercati. Per esempio in Italia WhatsApp è la piattaforma di messaggistica più usata. In America, invece, prevale Messenger: ecco perché, nonostante una visione internazionale, dobbiamo lavorare per tirare fuori il massimo da ogni singolo Paese.

Con WhatsApp i vostri piani di monetizzazione sono stati stoppati dall’Unione europea.

Noi però continuiamo a collaborare con le autorità e a fornire risposte alle domande che ci vengono poste. Il dialogo è aperto.

Cosa ne pensa di Snapchat, è una minaccia per Facebook?

Ho sentito spesso dire “I giovani se ne stanno andando via da Facebook, preferiscono Snapchat”. Magari è vero, però, come sosteneva il nostro precedente chief financial officer, David Ebersman, per questa fascia la contrazione, leggera a dire il vero, l’abbiamo registrata sul tempo speso e non sugli accessi. Quello dei giovani è un tema rilevante, ma c’è una chiara frammentazione nella fruizione dell’online da parte del target e noi dobbiamo provare a governarla, sapendo che ci sono diverse app che vedono proprio i più giovani come early adopters. E comunque i giovani sono una delle categorie che spende in assoluto più tempo su Facebook.

Per chiudere veniamo all’Italia, quali sviluppi in questo mercato?

Noto tre filoni principali, due dei quali riguardano la monetizzazione e uno il prodotto. Partendo da quest’ultimo, credo che in prospettiva l’instant messaging sarà uno dei driver principali non solo per WhatsApp o Messenger ma per tutti gli operatori. Noi ci crediamo: Messenger permette pagamenti peer-to-peer negli Stati Uniti, dove il consumatore può attivamente dialogare con dei bot e sono state diverse le innovazioni in questo frangente. Il secondo riguarda l’apertura alle PMI, che sono il vero e proprio motore di Facebook: oggi circa 4 su 60 milioni di pagine business investono sulla piattaforma, la gran parte delle quali sono imprese di dimensioni ridotte. Come Velasca o Pescaria, piccole aziende capaci di sfruttare al massimo la nostra piattaforma. Per esempio Pescaria, un’attività di ristorazione nata a Polignano a Mare che commercializza panini col pesce, ha generato risultati davvero incredibili: quando ha aperto a Milano a settembre di quest’anno sono riusciti a vendere 14.500 panini in 30 giorni con il 90% dei ricavi generati da Facebook views e 300mila euro di fatturato in un solo mese. Il terzo e ultimo filone è rappresentato dalle società più grandi, i big spender, con cui manteniamo un dialogo costante per continuare a generare valore.