Open To Meraviglia: tutti i tragitti sostenibili di Marketing Toys
La controversia dell’anno, il sito propedeutico alla nuova campagna del Ministero del Turismo che, tra mille polemiche, viene registrato da un’agenzia toscana, la quale si racconta attraverso le parole dei suoi due founder Gaia Provvedi e Filippo Giustini
Filippo Giustini e Gaia Provvedi
Doveva essere una cosa meravigliosa, si è trasformata in una tempesta di chiacchiere, polemiche, contumelie. Il Governo decide di dare il via a una campagna promozionale del nostro Paese, dà mandato ad Armando Testa affinché l’agenzia sviluppi la creatività; nasce l’immagine riadattata della Venere del Botticelli abbigliata come una ragazza d’oggi, qualcuno sostiene sia una vera e propria influencer, che debutta sul sito di Enit, l’Agenzia Nazionale del Turismo. Qualcuno comincia già a storcere il naso, partono i primi mugugni, come spesso accade per questioni politiche di qualsiasi colore. Il tutto però conosce un’impennata polemica quando si scopre che il sito Open To Meraviglia non esiste, o forse sì, perché nel frattempo è stato registrato come tale, ma non dal Ministero bensì da due pubblicitari, i fondatori dell’agenzia Marketing Toys, abili, veloci e solerti a tappare il clamoroso buco e, a questo punto, anche salvatori della patria, considerate le minacce provenienti dai social di reindirizzamento dell’affare a un sito porno. I due patrioti sono Gaia Provvedi e Filippo Giustini (protagonisti della puntata di DailyOnAir - The Sound Of Adv presente su questo numero), operanti in Toscana e sono loro a chiarire la querelle.
Dove eravate quella fatidica sera?
«Eravamo a Parigi in vacanza e avevamo seguito la vicenda e le critiche causate dalla campagna. Abbiamo cercato informazioni sul dominio: era libero, non registrato, lo abbiamo fatto noi, anche per proteggerlo. La mattina dopo c’erano 280 utenti collegati. Sui media tutti ne parlavano, ma nessuno spiegava cosa legasse Open To Meraviglia con Italia.it. La nostra intenzione è quella di cederlo al Ministero affinché si possa realizzare qualcosa di concreto. Non è un atto di lucro, non vogliamo fare trattative, lo doniamo per fare il bene del Paese. Un primo traguardo lo abbiamo però: salvare la Venere da Pornhub».
Una strategia di comunicazione che andrà a evolversi in una campagna sul lungo periodo, eppure le cose non stanno funzionando, per quale motivo secondo voi?
«Ci sono stati errori al di là della questione del dominio, ma non abbiamo informazioni per giudicarla, considerando che scelte e strategie non sono state chiarite. Diciamo allora che siamo di fronte a una manovra non del tutto appropriata in tema di brand protection. Sia come sia, occorre aspettare: la pianificazione media vera partirà a breve e quindi magari a fine anno potremo fare una misurazione del possibile impatto. Non possiamo limitarci a dare giudizi estetici».
Avete registrato il dominio, l’avete protetto, lo volete donare, qualcuno si è fatto vivo per raccogliere il vostro invito?
«Nessuno ci ha ancora contattato e se non dovesse accadere rimaniamo comunque convinti della bontà che potrebbe celarsi dietro l’operazione che possiede evidenti valenze turistiche. Chissà, potremmo creare uno spazio che possa dare un contributo reale al Paese, una finestra capace di valorizzare il territorio, il che porterebbe a una nuova narrazione della stessa campagna. L’obiettivo potrebbe essere sì quello di avvicinare i giovani, magari anche con l’ausilio di influencer; in quel caso, sarebbe opportuno attirare utenti con reali disponibilità economiche e voglia di investire, perché con i selfie e i like non si va da nessuna parte in termini di ritorno monetario. Quindi sì ai giovani, ma aperture anche al nucleo familiare, per esempio. Altri argomenti da affrontare: la promozione di luoghi sconosciuti o poco visitati e il tema della sostenibilità in ambito turistico, o ancora la formazione degli operatori turistici anche piccole destinazioni in tema marketing. Oggi quello che vediamo è solo un’immagine. Occorre capire se la strategia impatterà più avanti. Le opportunità non mancano, ma la cosa è stata, sino a ora, sfruttata in maniera un po’ grossolana».
Intanto è volata anche qualche cattiva parola nell’ambiente…
«Per noi è stata una tempesta. Ci sono state critiche attente, ci è stato chiesto di indirizzare il sito a Italia.it, ma, come detto, dal Ministero non si è fatto vivo nessuno per permetterci di farlo. Una cosa è certa: bisogna comunicare bene e anche giudicare meglio, ci ha un po’ disturbato la reazione di alcuni addetti ai lavori».
Come ve la immaginate la campagna?
«Ce la immaginiamo sicuramente multicanale, anzi omnicanale. Occorre vedere il brief, servono analisi pre-comunicazione, capire il valore, il target e poi si può parlare di mezzi e budget. A proposito di investimenti: nove milioni rappresentano una cifra importante, ma se vuoi pianificare in tutto il mondo si tratta di numeri risibili; se poi affermi che vuoi arrivare fino al 2030, pensiamo anche solo a possibili affissioni in America o a Dubai, si tratta di briciole».
Intanto, una certezza l’abbiamo, la vostra agenzia, Marketing Toys che, rifuggendo il centralismo milanese, è dislocata nelle campagne toscane, come mai?
«Abbiamo deciso di lavorare in campagna, da remoto, e lo facciamo da oltre dieci anni. Crediamo necessario trovare un equilibrio vita-lavoro più rispettoso dei nostri tempi».
Quali sono le vostre caratteristiche?
«Siamo specializzati in analisi, in business design, in strategia di marketing, perché occorre sempre farsi delle domande prima di progettare una comunicazione. Facciamo anche da advisor, quando il reparto marketing dell’azienda è in difficoltà».
La comunicazione odierna appare sempre più complessa, con spinte tecnologiche cangianti e pressanti. Voi come vi comportate?
«Ci fermiamo, ragioniamo, ponderiamo, cosa che un algoritmo non può fare. Non si vince sempre correndo. Occorre essere curiosi. Nel momento in cui ci troviamo poco attrezzati sul fronte tecnologico, possiamo contare sull’esperienza e la sapienza dei nostri colleghi di team. Non si può essere tuttologi».
L’innovazione è anche una questione culturale?
«È fondamentale che lo sia, altrimenti il rischio è quello di farsi travolgere da un processo che ti divora. Non si riuscirà mai ad andare più forte del progresso, dobbiamo essere i registi e capire, per esempio, che “giovani” nel mondo non è un target, e che perseverare su una strada simile significhi perdere tempo, non performare. Le aziende non hanno per forza bisogno di social, di like ed è inutile fare 100 foto digitali, ne bastano tre scattate bene».
Cosa vi chiedono i clienti?
«Si fanno delle domande. Si nota una maggiore attenzione in fatto di analisi, di approfondimento. Il mercato è un po’ in stallo e non basta uscire con un sito senza capire a cosa serva. I clienti hanno informazioni sui database, ma non sanno caratterizzare il proprio utente. Sono curiosi di sperimentare sul Metaverso, sull’AI. Il sospetto è che si attenda il nuovo eldorado. Il mondo sta cambiando e non tutti ne sono consapevoli, e allora affianchiamo il cliente, lo supportiamo strategicamente. Si deve crescere insieme. L’obiettivo è non fare una semplice fattura, ma contribuire a creare valore per l’utente finale, i mercati, l’essere umano. Marketing Toys lavora per operare in un’economia circolare, l’obiettivo è coltivare i nostri clienti sul lungo periodo, perché fare marketing è soprattutto responsabilità».