Mito #4 I video su Facebook non funzionano perché la durata di visualizzazione è inferiore alla tv. Ma è vero?
«Il vero tema da porsi è quanta attenzione catturiamo, piuttosto che quanto tempo», spiega a DailyNet Valerio Perego, Industry Manager CPG, Pharma, Retail di Facebook Italia. Con questa nuova intervista il ciclo “Gli strumenti pubblicitari di Facebook: miti e verità” abbandona il territorio creativo per abbracciare quello della misurazione
Valerio Perego, Industry Manager CPG, Pharma, Retail di Facebook Italia
Riparte con l’intervista a Valerio Perego, Industry Manager CPG, Pharma, Retail di Facebook Italia, il ciclo di approfondimento “Gli strumenti pubblicitari di Facebook: miti e verità”. Dopo aver affrontato il macro-tema creatività a livello editoriale e aver portato il confronto sul campo all’incontro #PensieroCritico del 9 maggio scorso, l’approfondimento a cura di DailyNet tocca l’ambito della misurazione. Valerio Perego sfata questo mito sottolineando la necessità di ragionare sul livello di attenzione catturata rispetto al tempo in materia di visualizzazione dei video. E il suo consiglio finale è quello di adottare un approccio multi-schermo che integri mobile e TV, in linea con il comportamento delle persone.
Le campagne video su Facebook vengono viste per un tempo inferiore rispetto ad altri media. Possono comunque essere efficaci?
La vera sfida oggi non è conquistare il tempo delle persone, bensì la loro attenzione: siamo ormai abituati a sceglie attivamente i contenuti che vogliamo vedere, inclusi quelli pubblicitari. Il vero tema da porsi è quanta attenzione catturiamo, piuttosto che quanto tempo. La pubblicità però si basa sul meccanismo di una visualizzazione imposta al consumatore. I posizionamenti pubblicitari sul news feed, in genere, non forzano l’utente a guardare una campagna video mentre scorre i contenuti: questo non è solo vero per Facebook e Instagram, ma anche per altre piattaforme social. Molte piattaforme video impongono la visualizzazione dei primi secondi, la televisione interrompe il flusso con l’intervallo pubblicitario, i formati display dei rich media richiedono che si ricerchi una piccola e spesso introvabile “x”. Tutti questi sono ottimi canali di marketing, ma invece di generare una visualizzazione, creano piuttosto un’opportunità di vedere.
È un po’ forte dire che il tempo di esposizione ad un contenuto pubblicitario è poco rilevante.
Siamo ancora abituati a pensare con i modelli pubblicitari tradizionali, invece che con quelli dei dispositivi mobili. Per esempio, uno studio svolto da Gfk su cinque campagne di prodotti di largo consumo, in Germania, dimostra che la propensione all’acquisto nel breve termine aumenta del 25%, in seguito a una visualizzazione su Facebook, anche se queste campagne venivano viste in media per meno di 3 secondi.
Però siamo influenzati dalla pubblicità anche se forzati a vederla.
Una ricerca commissionata da Facebook a Tobii Pro Insight nel 2017 in quattro città nord americane, ha monitorato il comportamento di un campione di cento persone durante una trasmissione televisiva serale. Grazie all’aiuto di un paio di occhiali che esaminava la direzione dello sguardo, si è osservato cosa catturasse la loro attenzione. Ebbene: il 94% degli utenti teneva in mano il telefono come se fosse un telecomando mentre guardava la TV e il 47% del tempo distoglieva l’attenzione dal televisore per svolgere faccende domestiche o per guardare il cellulare. Di queste 100 persone, esaminando un sottogruppo di 58 componenti, emerge che questi perdono la concentrazione dopo una media di 2,5 secondi dall’inizio del primo spot dell’intervallo pubblicitario. Tre volte su quattro, l’attenzione passa dal contenuto pubblicitario televisivo al telefono.
Come a dire che gli intervalli pubblicitari in TV generano traffico su internet?
Una conferma ci arriva da dati interni, abbiamo considerato un milione di utenti che avevano dichiarato tramite il loro status di guardare un popolare programma televisivo: si è registrato un aumento della loro attività su Facebook durante gli spot pubblicitari, nella misura, a volte, di più del triplo rispetto alla messa in onda del programma.
Il telefono è dunque l’oggetto della distrazione?
Più che altro è l’oggetto che ci consente di scegliere attivamente e in ogni momento quale contenuto guardare. Uno studio commissionato a SalesBrain nel 2015 rivela che il livello di attenzione è dell’82% più alto quando l’utente guarda un contenuto su mobile rispetto a quando lo vede in TV, perché viene percepito come un dispositivo personale: lo teniamo sempre in mano, a pochi centimetri dal viso, portandolo ovunque.
Sta suggerendo ai direttori marketing di abbandonare la TV per Facebook?
Al contrario. Considerando la tendenza generale al multi-schermo è naturale pensare ad un approccio che integri il mobile alla TV. Ciò che conta però non è il tempo di visualizzazione di una campagna video bensì l’attenzione che questa cattura, o che sia l’utente a scegliere di vederla. In altre parole, il successo di una campagna non si misura in secondi, ma in impatto finale sulle vendite e sul brand.