Cos’è esattamente l’ad tech?
Paolo Serra nella nuova puntata di Paolommatic tratta il tema delle principali sfide che devono affrontare editori e inserzionisti
Nuovo appuntamento con la rubrica di Paolo Serra per DailyNet dedicata al programmatic: Paolommatic. In questa puntata Serra spiega cosa si può intendere per ad tech.
Per leggere l’articolo precedente nel quale Serra fa il punto del programmatic per l'anno nuovo: clicca qui
Paolo Serra
Appassionato di nuove sfide per far crescere le imprese, con l’obiettivo di contribuire ad aumentarne i ricavi. Si dedica al search engine marketing dal 1999, lavorando con le principali agenzie internazionali. In seguito, allarga le conoscenze al mondo del Programmatic Advertising, diventandone uno dei maggiori esperti italiani, tanto da aver aperto il sito Programmatic RTB, punto di riferimento per gli addetti ai lavori.
Paolo SerraCos’è esattamente l’ad tech?
Piaccia o no, la tecnologia utilizzata per fare pubblicità ha rivoluzionato il modo in cui i brand si tengono in contatto con il proprio pubblico e il modo in cui gli inserzionisti e gli editori interagiscono fra di loro. Per questo tutti questi attori devono avere bene in mente cos’è l’ad tech e come funziona.
Ad tech e advertiser publisher-Rrelationship
Cominciamo con la domanda fondamentale: Perché abbiamo bisogno dell’ad tech?
E perché abbiamo bisogno di un complesso sistema di piattaforme e tecnologie per fare la pubblicità?
Alla base di tutto c’è un dato di fatto: gli inserzionisti vogliono campagne pubblicitarie di successo destinate a un pubblico di alto valore. Gli editori vogliono vendere la propria inventory al miglior prezzo possibile. Il rapporto fra inserzionisti ed editori è tale da quando il concetto di pubblicità esiste.
Poi è arrivato internet e ha cambiato tutto
Prima si pianificava acquistando degli spazi predefiniti, per un periodo predefinito, su uno o più media, un po’ come ancora avviene con il display. Ora i brand vogliono ottimizzare le uscite smettendo di “sparare nel mucchio”, vale a dire sprecando un’enorme quantità di budget, ma mostrando l’inserzione solo agli utenti che sono sensibili all’inserzione stessa, così da poter modificare la strategia in tempo reale in base agli insight. Per contro il numero degli editori è esploso e conseguentemente anche la quantità di inventory è aumentata, rendendo più complesso capire e gestire la qualità di spazi che si acquistano e la loro quantità. Al fine di collegare i due lati dell’equazione, occorrono soluzioni tecniche capaci di gestire l’enorme numero di inserzionisti e di editori che vogliono fare affari insieme. Ecco perché esiste l’ad tech e perché è necessario.
Nell’ecosistema ad tech ci sono moltissime aziende, alcune di queste soddisfano le esigenze dell’inserzionista, altre dell’editore, ma per capire quali e come usarle al meglio, è necessario comprendere i bisogni di entrambi gli attori.
Lato offerta
Gli editori vendono gli spazi pubblicitari per fare soldi. Ma la vendita degli spazi pubblicitari nell’era digitale presenta diverse sfide.
1) Pubblicazione di annunci in tempo reale
Gli editori devono avere un modo rapido ed efficiente per pubblicare degli annunci, quando c’è la possibilità di farlo, perché ogni volta che un utente esegue un’azione o apre una pagina, un nuovo annuncio può essere caricato.
2) Gestire campagne (dirette)
Gli editori - soprattutto quando lavorano direttamente con i brand - devono essere in grado di implementare rapidamente gli annunci, generare report e fornire spunti per le campagne.
3) Ottimizzare le impression vendute e concorrenza
Poiché con internet è più semplice avviare un’attività editoriale (si pensi ai blogger, agli sviluppatori di applicazioni, e perché no, anche agli youtuber), le opportunità per l’acquisto e la vendita di annunci sono esplose. Ciò, in concreto, significa aumento della concorrenza e possibilità che alcune impression possano andare invendute - soprattutto per gli editori non-premium e negli slot non premium.
4) Ottimizzare la resa dell’inventory
Ovviamente, gli editori non vogliono vendere il loro spazio pubblicitario per poco. Ma con una così ampia gamma di inserzionisti, e ancora di più ampia gamma di editori la lotta per generare entrate pubblicitarie si fa dura. Di conseguenza gli editori hanno bisogno di un modo per assicurarsi il miglior prezzo per ogni spazio pubblicitario.
5) Raccogliere informazioni sul pubblico
Al fine di ottenere il prezzo più alto per la loro inventory, gli editori hanno bisogno anche di conoscere chi stazioni sul proprio sito o utilizzi l’applicazione, con quale frequenza, ma soprattutto che tipo di comportamento mantengano sia online sia offline. Solo con approfondimenti di questo tipo possono attirare gli inserzionisti disposti a pagare tassi più elevati per il loro spazio pubblicitario.
6) Raccogliere e monetizzare i dati di ascolto
Per gli editori, la vendita di spazi pubblicitari non è l’unico modo per fare soldi. Spesso possono monetizzare i propri dati di audience, lavorando con i fornitori di dati e diventando fornitori a loro volta di dati da vendere agli inserzionisti. Che poi li utilizzano per indirizzare i potenziali clienti sulle offerte che saranno più propensi ad acquistare.
7) Raccogliere i dati sugli annunci
Né gli editori né gli inserzionisti sono interessati a piazzare annunci su un sito web solo per il gusto di farlo. Hanno bisogno di dati concreti sugli annunci che vendono, e non solo perché gli inserzionisti lo richiedono. Gli editori vogliono anche sapere quali reti pubblicitarie / SSP generino il massimo rendimento o che tipo di annuncio possa avere più successo e quali partner consentano loro di monetizzare di più.
8) Fornire un’esperienza piacevole all’utente
Anche se gli editori sono ansiosi di trarre profitto dal loro spazio pubblicitario, hanno anche bisogno di assicurarsi che il processo di pubblicazione degli annunci non ostacoli la UX complessiva sul proprio sito o nella loro applicazione.
Lato domanda
Dall’altra parte della relazione pubblicitaria, gli inserzionisti hanno i propri bisogni. Vogliono sapere quante impression vengano realmente servite, quanti siano realmente visibili e ancora di più, quante portino a conversioni, mentre gli editori hanno bisogno di fornire queste informazioni per convincerli a investire di più.
1) Servire campagne pubblicitarie mirate
In cima alla lista dei desideri degli inserzionisti c’è la necessità di offrire i propri annunci alle persone che hanno più probabilità di essere interessate ai loro servizi o prodotti. Questo può variare a seconda del tipo di campagna e il suo scopo, ma più di ogni altra cosa, gli inserzionisti vogliono raggiungere i loro clienti più importanti e in target.
2) Il successo di una campagna su misura
Come i brand possono sapere se stiano o meno raggiungendo le persone giuste? Solo se hanno un modo per monitorare in modo efficace le loro campagne, e attribuire le conversioni seguendo non più il sistema del last cookie win, ancora molto in uso, ma estremamente fallace perché ignora tutta la customer journey di un normale utente.
3) Traccia il percorso del cliente
Poiché i clienti interagiscono con contenuti diversi nelle diverse fasi del processo decisionale, i brand vogliono sapere quali possano essere i punti di contatto che hanno portato a una vendita e come possano fornire un’esperienza più unificata. Ecco perché il marketing e gli inserzionisti devono utilizzare l’ad tech per fornire dei dati precisi, utili per individuare la giusta attribuzione attraverso tutti i canali utilizzati dagli utenti.
4) Risparmio di tempo e denaro
La pubblicità prende tempo e soldi, quindi ovviamente i brand sono sempre alla ricerca di modalità appropriate per tagliare i costi e non perdere tempo nei processi di vendita.
5) L’immagine del brand
Nel mondo del digitale c’è il pericolo che un brand venga associato a situazioni negative o a un contenuto indesiderato sul sito di un editore. Gli inserzionisti devono essere in grado di controllare e verificare dove i loro annunci vengano serviti.
6) Brand Salience
Grazie alla segmentazione del pubblico permessa dalle DMP (data management platform) è possibile mirare campagne specifiche solo verso tipi di pubblico già “associati” al brand con l’obiettivo di approfondirne il significato.
7) Ottimizzare la spesa pubblicitaria basata sui dati (Programmatic Advertising)
Le informazioni per avere successo con una campagna, aumentare le conversioni e le entrate, misurare il ROI o il ROAS. Tutto dipende dai dati e dalla loro gestione.