Rai Pubblicità: l’a.d. Fabrizio Piscopo lascia la concessionaria
Si conclude dopo quattro anni il rapporto tra il manager e il Gruppo pubblico. Intanto oggi l'AgCom esamina gli esposti di Mediaset riferiti al dumping
Dopo quattro anni in Rai Pubblicità, prima come d.g. e poi come a.d., Fabrizio Piscopo sta per lasciare la concessionaria, sotto attacco insieme al Gruppo pubblico televisivo negli ultimi giorni, in particolare da parte di Mediaset, il cui a.d., Pier Silvio Berlusconi, è tornato a chiedere - in un’intervista al Corriere della Sera lo scorso 10 dicembre - “un tetto molto stringente alla pubblicità”, ovvero più “stringente” di quanto già non lo sia, anche a fronte di un aumento delle entrate per la stessa Rai grazie al canone obbligatorio.
È un attacco che coinvolge anche la politica, tant’è che Anna Maria Bernini, vicepresidente vicario del Gruppo FI-PdL in Senato, ha depositato in Commissione di Vigilanza una risoluzione “sull’adozione da parte della Rai di procedure idonee a valorizzare la vendita degli spazi pubblicitari” che si pone, in sostanza, contro i forti sconti che Rai Pubblicità avrebbe applicato ai suoi listini, “che avrebbero raggiunto l’85%, con punte superiori al 90%”.
Una pratica che sconfinerebbe nel dumping e contro la quale ha puntato il dito anche la stessa Mediaset, presentando al Garante delle Comunicazione una serie di esposti la cui discussione è attesa proprio oggi. Il Gruppo di cui è presidente Fedele Confalonieri accusa la Rai di pratiche illecite in merito agli affollamenti pubblicitari: Rai ha un tetto del 4% ma, grazie alle compensazioni, arriva al 5% su Rai1. La Rai ha replicato ricordando che “in qualità di concessionaria del servizio pubblico è soggetta a limiti di affollamento pubblicitario di gran lunga superiori alla concorrenza delle tv commerciali. Il tetto, quindi, già c’è ed è per questo che la richiesta dell’a.d. di Mediaset appare del tutto strumentale”.
Ricavi lordi e netti
Di pari passo con il citato esposto, c’è una seconda risoluzione presentata dalla senatrice Bernini, che chiede appunto l’applicazione “su ogni singola rete, e non cumulativamente per le tre reti generaliste, il limite del 4% di affollamento pubblicitario di cui all’art. 38 , comma 1, del Tusmar”. In più, si chiede l’eliminazione delle telepromozioni e delle televendite, perché “proprie più dei network nazionali e delle televisioni private locali che della società concessionaria”. Per avere una miglior fotografia dell’attuale situazione sul fronte delle politiche commerciali, possiamo dire che, nei primi dieci mesi del 2017, il numero complessivo di secondi pubblicitari emessi dai braodcatser rilevati da Nielsen è cresciuto del 5,5% rispetto allo stesso periodo 2016, a quota 198.435.045. Rai è calata del 10,4% a 10.950.533, Mediaset li ha aumentati del 5,7% a 55.547.480, La7 dello 0,7% a 7.735.160, Sky del 3,3% a 87.921.288, e Discovery del 18,7% a 36.280.584.
Sempre tra gennaio e ottobre, e sempre rispetto allo stesso periodo 2016, la tv ha incrementato il numero di annunci emessi del 3,5%, per un totale di 9.067.868; la Rai è scesa del 9,4% a 511.878; Mediaset è salita del 6,4% a 2.572.118, La7 è scesa dello 0,9% a 393.066, Sky del 2,5% a 3.891.575, mentre Discovery li ha incrementati del 21,9% a 1.699.231. A tariffe di listino (e, quindi, lordi), sempre la tv è cresciuta del 4,6% a 25.570.234.000 euro, la Rai del 5,7% a 4.875.204.000, Mediaset dello 0,7% a 6.783.840.000, La7 dell’1,8% a 879.152.000, Sky è scesa del 7,0% a 6.879.140, Discovery è cresciuta del 27,4% a 6.152.897.000. Infine, riproponiamo i dettagli delle nettizzazioni relative sempre ai primi dieci mesi, con la tv in generale che è scesa del 2,9%, la Rai a -9,1% a 598.892.000 euro, Mediaset a -1,8% a 1.704.420.000, La7 a -1,1% a 124.549.000, Sky a -3,1% a 373.208.000 e, infine, Discovery, che cresce invece del 9,1% a 198.290.000 euro.