Ue, multa record da 2,42 miliardi di euro per il servizio Google Shopping
La decisone arriva dopo due anni di indagini per abuso di posizione dominante nelle ricerche online a favore della sua piattaforma di Shopping
Ieri la Commissione europea ha sanzionato Google con una multa record da 2,42 miliardi di euro per abuso di posizione dominante nelle ricerche online a favore della sua piattaforma Google Shopping. La decisione è arrivata dopo due anni di indagini: il dossier su Google Shopping e le sue violazioni delle regolamentazioni sulla competizione è stato infatti formalizzato nel 2015. Le autorità europee accusavano la società di favorire "sistematicamente il proprio prodotto per gli acquisti comparativi nelle sue pagine generali che mostrano i risultati delle ricerche".
La sanzione inflitta supera quella da 1,06 miliardi di euro che nel 2009 ha colpito Intel sempre per abuso di posizione dominante. "Riteniamo che le accuse siano sbagliate, dal punto di vista dei fatti, legale ed economico", aveva risposto sul blog ufficiale Kent Walker, senior vice president and General Counsel, nel 2016. Oggi Google annuncia di considerare la possibilità di ricorrere in appello alla Corte di Giustizia europea: "Quando fate acquisti online - scrive Walker - quello che volete è trovare in maniera facile e veloce i prodotti che state cercando. Allo stesso tempo, chi li vende vuole promuovere questi stessi prodotti. Ecco perché Google mostra annunci pubblicitari Shopping, mettendo in contatto le persone con migliaia di inserzionisti, grandi e piccoli, portando benefici ad entrambe le parti. Siamo rispettosamente in disaccordo con le conclusioni annunciate oggi".
Mountain View ha ora 90 giorni per mettere fine alla pratica, oppure dovrà affrontare una nuova ammenda: fino al 5% del fatturato giornaliero di Alphabet. “Quello che Google ha fatto è illegale rispetto alle norme antitrust dell’Unione europea. Ha negato alle altre aziende la possibilità di competere nel merito e di innovare. E, cosa più importante, ha negato ai consumatori europei una scelta genuina di servizi e i pieni benefici dell’innovazione”, ha commentato la commissaria Ue per la concorrenza Margrethe Vestager.
Dopo il caso Google Shopping, le accuse non sono finite
Mountain View potrebbe nel prossimo futuro veder formalizzate altre due accuse, sempre dovute ad abusi dati da un monopolio nell’ambito dei sistemi operativi su dispositivi mobili (con Android) e nella raccolta pubblicitaria sul web (con il servizio AdSense). “Obiettivo della Commissione è applicare le norme antitrust dell’Ue per garantire che le imprese operanti in Europa, ovunque si trovi la loro sede, non privino i consumatori europei della più ampia scelta possibile o non limitino l’innovazione”, aveva dichiarato Vestager nel 2015.
Margrethe VestagerInsieme all’indagine su Google Shopping, la commissaria aveva posto sotto esame anche la situazione di monopolio di Android, sistema operativo installato sull’80% dei dispositivi mobili, obbligandoli così a preinstallare alcune applicazioni dell’universo Google, come Gmail, Google Maps, Chrome. Sul fronte della raccolta pubblicitaria, le accuse sono rivolte ad AdSense, piattaforma d’intermediazione tra investitori e publisher.
Gli altri sanzionati
Google non è l’unica “vittima” dell’Antitrust europeo, che ha comminato sanzioni alle più importanti multinazionali al mondo. Non ultima Apple, che deve pagare una multa di 13 miliardi di euro per risarcire l’Irlanda delle imposte inevase su profitti fatti nel Paese in un periodo lungo quasi dieci anni. Gennaio era la data di scadenza del pagamento, che non è stato effettuato in attesa di una seconda opinione sulla decisione.
Cifre più contenute (a sei zeri) sono andate a Facebook e Microsoft, mentre sono ancora sotto indagine Amazon e McDonald’s, sempre per accordi fiscali non trasparenti questa volta con il Lussemburgo. Resta il fatto che comunque solo il 15% delle decisioni prese dalla Commissione europea tra il 2010 e il 2017 riguarda società americane, contro i circa due terzi contro aziende europee. Le sanzioni da pagare per i giganti tech sono più onerose solo perché proporzionate ai loro ricavi.