Autore: Redazione
16/09/2016

Nasce la Coalition for Better Ads, una reale risposta all’ad blocking

L’alleanza è stata formata per creare degli standard globali per l’online advertising, che sarà distribuita utilizzando la tecnologia di Iab Tech Lab. Il Dmexco, scelto per la presentazione dell’iniziativa, ha ospitato in un panel alcuni protagonisti del settore per discutere come affrontare il tema

Nasce la Coalition for Better Ads, una reale risposta all’ad blocking

C’è anche Google tra i fondatori della Coalition for Better Ads, un gruppo formato da associazioni di settore, inserzionisti, publisher e agenzie nato con l’obiettivo di liberare internet da una cattiva pubblicità. L’annuncio della coalizione, istituita come risposta alla crescita dell’ad blocking, è stato fatto ieri al Dmexco a Colonia, in Germania. L’alleanza è stata formata per creare degli standard globali per l’online advertising, che sarà distribuita utilizzando la tecnologia di Iab Tech Lab. Questa tecnologia, essenzialmente, classificherà gli annunci a partire da una serie di criteri come il tempo di caricamento delle pagine, il numero di tracciamento pixel e il tipo di creatività.  

Membri fondatori della coalizione

Solo gli annunci che soddisfano una certa soglia saranno erogati in pagina. I criteri saranno sviluppati a partire da ricerche sui consumatori, focalizzate sul tipo di comunicazione in rete che piace o meno alle persone. La prima iterazione del sistema di classificazione è attesa per il quarto trimestre dell’anno, con il software che verrà rilasciato nel 2017. I membri fondatori della coalizione sono: American Association of Advertising Agencies (4A’s); Association of National Advertisers (ANA); BVDW Germany; Digital Content Next; DMA; European Publishers Council; Google; GroupM; IAB, IAB Europe, IAB Tech Lab e le declinazioni nazionali di IAB; Network Advertising Initiative (NAI); News Media Alliance; Procter & Gamble; Unilever; The Washington Post; World Federation of Advertisers (WFA).
adblocking

I commenti all’annuncio

  E proprio alcuni di questi membri, rappresentati da Stephan Loerke, ceo di WFA e Scott Spencer, director & product manager di Google, hanno affiancato sul palco del Dmexco altri protagonisti attivi della ricerca a una soluzione al problema: Deirdre McGlashan, global chief digital officer di MediaCom, Pierre Chappaz, co-founder & executive chairman di Teads, e Ben Barokas, ceo & co-founder di Sourcepoint. Ribadito l’annuncio della “Coalition for better ads”, è subito stato chiarito il suo scopo: «Dobbiamo fare in modo che le ads siano le benvenute nei dispositivi delle persone, definendo standard globali che evitino la delivery di inserzioni ritenute fastidiose. Dobbiamo trasformare la ad experience in modo che non sia più odiata in futuro», chiarisce Loerke.  

Publisher e advertiser necessitano delle ads per sostenersi

Subito si accora Spencer, dicendosi felice di partecipare al gruppo e concentrato sulla questione relativa alle cause che stimolano gli utenti a installare gli ad blocker. «Vogliamo scoprire cos’è considerato fastidioso e consegnare queste informazioni alla coalizione», dice. Una prima teoria prova a supporla McGlashan: «Il blocco avviene perché gli utenti non considerano il value exchange, non sono contenti dell’esperienza proposta o si sentono impauriti dalle richieste relative ai loro dati. Non sono problemi tecnologici, sono problemi umani. Dobbiamo trovare una soluzione con loro da un punto di vista umano, creare dialoghi e arrivare insieme a una risposta». «In realtà sono in pochi a comprendere che publisher e advertiser hanno bisogno delle ads per sostenersi. Molti consumatori non superano il fastidio che gli provocano», risponde Spencer, indicando l’education come necessaria. In realtà basterebbe che la ad fosse percepita come un contenuto, magari utilizzandola come supplemento per la storia raccontata in un articolo.
dmexco-1-e1473956305169-6

Parola a Chappaz e Barokas

«La verità è che esiste un grosso distacco tra internet, che è un mezzo molto sofisticato, e alcune ads, che semplicemente non sono adatte. Internet è un mezzo elegante e coinvolgente; non possiamo appiccicare le ads in faccia alla gente. I publisher devono essere coraggiosi e investire sui formati che propongono veramente un valore per le persone. Questo è uno dei principi base della comunicazione», taglia corto Chappaz. Nemmeno Netflix o i servizi di contenuti a pagamento possono essere un modo per stimolare la creazione di un’abitudine. «Credo che se la scelta sia tra pagare per i contenuti e fruirne gratis ma con l’aggiunta delle ads sceglierebbero tutti la seconda opzione», afferma Barokas. Ma non è così facile: se la scelta è tra queste due possibilità allora sarebbe impossibile valutare se il pagamento vale la pena.  

Le aziende editoriali hanno ad oltrepassare l'adblocking

«Bisognerebbe infatti conoscere l’ad prima di sapere se il prezzo vale il fastidio», fa notare Spencer. «Quello che meritano gli utenti è advertising personalizzato. In questo modo non è possibile proporre prodotti o servizi a cui la persona è completamente indifferente. Il futuro è in questa direzione» continua Chappaz. «Le aziende editoriali hanno utilizzato parecchie risorse per provare a oltrepassare l’ostacolo dell’adblocking. Per sostenere i loro business model hanno provato le vie legali, la strada tecnologica e la proposta di una scelta attraverso paywall. Sono impressionato dalla forza con cui ci si è battuti e dalla convinzione con cui si è formata questa coalizione. Adesso sono necessari dei parametri condivisi globalmente, sperando che servano far sfumare la previsione secondo cui entro il 2020 gli sprechi dovuti alle tecnologie di blocco pubblicitario arriverà a una cifra intorno ai 60 miliardi di dollari. La concentrazione del settore, però, mi rende molto fiducioso», chiude Loerke.